Emanuela Orlandi. Una pista: orge nel palazzo di S.Apollinare?

È annunciata, come periodicamente capita, l’ennesima svolta del caso Emanuela Orlandi, vale a dire del mistero della scomparsa il 22 giugno ’83 della ragazza vaticana appena quindicenne. Ora i giornali scrivono di “pista sessuale” come nuova strada imboccata dai magistrati inquirenti e di interrogatori, addirittura di domenica, di tre o quattro persone. Una delle quali sarebbe un ex studente dello stesso conservatorio musicale Ludovico Da Victoria frequentato dalla Orlandi e sito al quarto piano di Palazzo di S. Apollinare. L’edificio confina con la omonima basilica e affaccia sulla piazza che pure porta il nome di S. Apollinare.

Ciò che gli inquirenti stanno cercando di appurare è chi eventualmente frequentasse la sera e la notte il Palazzo e forse la sagrestia della basilica, parcheggiando spesso l’auto nel grande cortile comune interno. Il Palazzo infatti aveva – e ha tuttora – quattro piani e solo l’ultimo era occupato dal conservatorio musicale, oltre a ospitare la segreteria particolare dell’allora vicepresidente della Camera dei deputati Oscar Luigi Scalfaro, in procinto di diventare dopo qualche settimana ministro dell’Interno prima di diventare infine capo dello Stato. Gli altri tre piani erano occupati da vari altri uffici di varie altre associazioni, tutte facenti capo all’Apsa, acronimo di Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica.

Le chiavi del pesante portone d’ingresso nel Palazzo le aveva perciò molta gente e i magistrati stanno cercando di capire quanta gente e possibilmente chi. Di sicuro non le aveva solo don Piero Vergari, che nell’83 era il rettore della basilica e senza il cui permesso non si poteva accedere alla sagrestia o canonica perché per timore dei ladri ne teneva sempre la porta sbarrata.

In particolare gli inquirenti stanno cercando di capire se il Palazzo la sera o la notte fosse frequentato anche da chi frequentava una specie di night club, un po’ chiacchierato, che ai quei tempi si affacciava su piazza delle Cinque Lune, sito nel palazzo dove oggi c’è il negozio Ai Monasteri, che vende i prodotti alimentari e le bevande confezionate nei monasteri italiani. Ricordiamo che un lato del Palazzo di S. Apollinare dà proprio su piazza delle Cinque Lune, che si trova all’angolo tra corso del Rinascimento e via di S. Agostino.

Per cercare di capire il tipo di gente o di fauna che poteva bazzicare nottetempo il Palazzo ed eventualmente la basilica i magistrati hanno interrogato e intendono interrogare persone che gravitavano nelle associazioni con sede negli altri tre piano di Palazzo di S. Apollinare e forse anche i gestori del localino allegro, se ancora vivi.

Da qualche tempo si tende a spostare davanti alla basilica il luogo dove Emanuela è stata vista l’ultima volta. E’ bene allora ricordare che ci sono testimonianze, di sue compagne di conservatorio, che l’ultima volta è stata vista alle 7 di sera alla fermata degli autobus di corso Rinascimento, esattamente di fronte a Palazzo Madama, sede del nostro Senato. La fermata dista dalla basilica oltre cento metri. La sera in cui scomparve, è accertato che Emanuela aveva infatti intenzione di prendere l’autobus 70 per poi prendere il 64 in Largo di Torre Argentina e arrivare così a pochi metri da Porta S. Anna, ingresso nel Vaticano dove abitava con la famiglia.

Ipotizziamo, come è ovvio che facciano anche gli inquirenti pur senza dirlo, che nel Palazzo e nella basilica si scatenassero orge, alla Stanley Kubrik, e che nel localino ci fossero donnine allegre. Di sicuro gli assatanati non si scatenavano già alle 7 di sera, di solito si aspettava la sera inoltrata, se non la notte, diciamo a partire dalle 10 di sera. Il problema è che è difficile immaginare Emanuela che per tre ore se ne sta in attesa in strada o nei paraggi, per giunta senza che nessuno l’abbia notata, lei che aveva uno zainetto, il mitico modello Tolfa, e indossava sulla camicetta bianca delle bretelle di tipo particolare.

A dire il vero di problemi ce ne sono altri due. Uno è che è arduo ipotizzare orge e affini in un immobile al cui quarto piano ha il suo ufficio il vicepresidente della Camera nonché poco dopo ministro dell’Interno o, come si soleva dire una volta, ministro di Polizia. L’altro problema è che in quella piccola piazza, di fronte alla basilica, c’è il ristorante Il Passetto, dove l’allora presidente della Repubblica Sandro Pertini amava andare non di rado a cena, come lui stesso amava raccontare. Sì, forse tutto sommato si trattava dell’ambiente ideale perché Kubrik vi ambientasse la versione clerical-politica del suo film Eyes wide shut.

E’ chiaro che gli inquirenti vogliono soprattutto capire che tipo di vita conducesse don Piero Vergari, amico del “boss della banda della Magliana” Enrico De Pedis e postulatore della sua arci famosa ed ormai eliminata sepoltura nei sotterranei della basilica. In tempi di frequenti scandali dagli Usa all’Australia di pedofilia nel clero – e di dimissioni addirittura del Papa per sfrenata gayezza e altri vizi di cardinali vaticani – certi sospetti sono inevitabili, forse d’obbligo. Non c’è quindi che da aspettare, come sempre fiduciosi nella magistratura e, soprattutto, nelle eventuali sentenze. Che non possono certo essere sostituite da scoop transeunti o da gossip, per quanto pruriginosi, o dai sospetti per antipatie personali del tipo “quel prete però ha una faccia da porco” o comunque “una faccia che non mi piace”.

Infine tre considerazioni, la prima delle quali è una notizia. Si insiste a dire, a partire da una lettera come al solito anonima pubblicata da Pietro Orlandi nel suo libro “Mia sorella Emanuela”, che De Pedis potrebbe essere stato chiamato da don Vergari per ripulire la scena di un’orgia finita tragicamente. Per sostenere questa ipotesi si afferma che non è vero che i due si siano conosciuti nell’86, come hanno spiegato sia don Vergari che la vedova di De Pedis, Carla, ma che invece si conoscevano già prima dell’83, prima cioè che la ragazzina del Vaticano sparisse.

Per supportare tale anticipo delle loro conoscenza, nei giorni scorsi è comparsa la notizia che don Vergari portava i messaggi di De Pedis in carcere a Regina Coeli, in Trastevere, al ristorante Popi Popi di suo fratello, sempre a Trastevere. Il problema è che il ristorante fino all’83 era proprietà di tale Cecere, quindi non c’era nessun Popi Popi e nessun De Pedis fratello al quale portare messaggi.

Inoltre De Pedis dal 1980 al 1984 era libero, non in carcere, e quindi non c’era nessun motivo e nessuna possibilità di portare messaggi da Regina Coeli al Popi Popi.

Senza contare che se si dice che i messaggi glieli portava don Vergari, che a fare assistenza spirituale ai detenuti ci andava il sabato, ciò vuol dire cacciare dalla scena la “supertestimone” Sabrina Minardi. Ma come? Non s’è detto e ridetto che lei era “l’amante per dieci anni” di De Pedis? Poiché De Pedis è morto nel febbraio ‘90, e poiché la matematica non è un’opinione, la liason sarebbe iniziata nell’80. Ma allora i messaggi al ristorante (non ancora esistente) dei fratelli perché non glieli portava la Minardi? Il motivo è semplice: perché dai registri delle visite del carcere, e dagli accertamenti dei magistrati, la donna e “il boss della banda della Magliana” si sono conosciuti molto più tardi e si sono frequentati al massimo per un paio d’anni essendo lei scappata in Brasile nell’88 per il dolore dovuto al fatto che De Pedis sposava non lei ma Carla.

L’ultima considerazione è che avere insistito fin dal primo momento a dire che Emanuela “è stata rapita” per giunta “solo perché era cittadina vaticana”, come insiste a dire ancora oggi Pietro Orlandi, ha solo danneggiato, e irreparabilmente, le indagini. Si comincia infatti a fare solo oggi ciò che si sarebbe dovuto fare 30 anni fa. E se si tratta di conclusione tragica di sesso con minorenni, sia pure assolutamente non consenzienti e obbligate con la forza, che ci azzecca la cittadinanza vaticana? Un po’ più di umiltà e realismo da parte di chi, tra l’altro, insiste a insultare chi non beve le versioni ufficiali, non sarebbe male.

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