Povera Emanuela Orlandi, tra Giorgetti e il fratello Pietro

Il macabro balletto attorno alla memoria di Emanuela Orlandi, molto vivace nel 2011, sembra volere continuare anche col nuovo anno.

Primo ballerino sembra voler essere il “supertestimone” Maurizio Giorgetti, che, partendo da  Soriano (Viterbo) il 30 luglio 2011  si è messo in viaggio per la Turchia a vele spiegate – letteralmente, visto che è salpato su una affollata barca a vela – strombazzando ai quattro venti che avrebbe trovato Emanuela Orlandi, la giovane rapita il 22 giugno 1983 in Vaticano, o almeno la sua tomba.

Cosa sia accaduto alla nutrita brigata che accompagnava Giorgetto una volta che la spedizione è sbarcata in Turchia. Nelle loro intenzioni, la spedizione sarebbe durata se necessario anche vari mesi, non avrebbe mollato finché non avesse raggiunto lo scopo dichiarato. Poi non s’è saputo più nulla, nonostante fosse composta da ben 14 persone: 11 uomini e 3 donne. Giorgetti ci tenne a far sapere che tra gli altri c’erano “un imprenditore di Desenzano, un amico di Vitorchiano, due còrsi, due spagnoli, una donna cardiochirurgo dell’ospedale Niguarda e una sua assistente, più un giornalista della tv francese Antenne 22″. Invece del pattuglione di segugi non s’è saputo più nulla.

La spedizione deve essere stata un fiasco clamoroso, come del resto le altre “supertestimonianze” di Giorgetti, persona che i magistrati del caso Orlandi non hanno mai neppure voluto vedere nonostante le sue “rivelazioni” a “Chi l’ha visto?” e dintorni, la più clamorosa delle quali si è rivelata – ovviamente – una bufala. I carabinieri hanno infatti scoperto che l’aggressione subita da Giorgetti in casa “per rappresaglia alle mie rivelazioni sulla scomparsa di Emanuela” era in realtà opera di sua figlia e del di lei fidanzato… Che infatti sono stati arrestati.

L’allegra brigata partita per la Turchia ha continuato a tacere inghiottita nel nulla anche dopo essere rientrata in Italia, in punta di piedi perché nessuno sa quando. E della “spedizione risolutiva” nessuno avrebbe saputo più nulla se Giorgetti non avesse rilanciato l’argomento Orlandi verso la fine del 2011. Il 24 dicembre, cioè alla vigilia di Natale, per essere preso sul serio dai magistrati s’è messo a fare lo sciopero della fame davanti al tribunale di Viterbo, anche se non si capisce che sciopero della fame possa essere lo stare senza mangiare solo per qualche ora davanti al palazzo di Giustizia o in qualunque altro posto. Tutt’al più si tratta di una dieta.

Come che sia, Giorgetti minaccia di riprendere lo sciopero della fame, vuole assolutamente essere ascoltato dai magistrati perché costringano la sua ex convivente, Annamaria Lucia Vero, sparita lo scorso 6 aprile e a quanto pare ricomparsa di recente, a restituirgli le foto che gli avrebbe rubato e che – sempre a dire del reduce dalla Turchia – ritraggono Emanuela Orlandi davanti a una vera di pozzo “tipica dei monasteri”. Durante lo sciopero della fame Giorgetti ha spiegato che i carabinieri “una volta riottenute le foto potrebbero fare una ricerca nell’archivio delle Belle Arti e risalire così al monastero che ha quel pozzo”.

Ma come fa Giorgetti a dire che le immagini di cui parla, ammesso che le abbia effettivamente possedute, ritraggono Emanuela Orlandi e non una tizia qualunque? Mistero. L’unica cosa che si viene a sapere è che sarebbero state scattate negli anni ’90 e consegnategli come “foto della Orlandi” da uno degli immancabili “boss della banda della Magliana”, tale Domenico Zumpano. Il quale, guarda caso, è morto, ben 14 anni fa, motivo per cui non può ne confermare né smentire… Strano, ma è sempre così: i vari “pentiti” della cosiddetta banda della Magliana tirano sempre in ballo come testimoni gente che è morta da un bel pezzo.

Le affermazioni fatte da Giorgetti durante lo “sciopero della fame” cozzano però contro quanto ha dichiarato in una intervista il 24 maggio dell’anno scorso per l’edizione online de Il Tempo: quelle foto “me le diede Domenico Zumpano prima di morire il 3 febbraio 1997 cadendo dalle scale di casa a Roma” e  “furono scattate in una località a una settantina di chilometri dal confine con la Grecia”.

Secondo ballerino, Pietro Orlandi, fratello di Emanuela. Come è noto, nei mesi scorsi ha lanciato una racconta di firme per un accorato appello a papa Ratzinger perché si decida a rompere il muro d’omertà del Vaticano e far saper finalmente alla famiglia tutto quello che la Segreteria di Stato del Vaticano sa riguardo che fine ha fatto Emanuela. Credo di essere stato il primo a firmare, già a inizio agosto l’appello, per il quale Pietro Orlandi sostiene di avere raccolto ben 50 mila firme, consegnate al segretario particolare del papa, monsignor Georg Gaenswein.

Ma la montagna delle 50 mila firma ha partorito un topolino. Anzi, non ha partorito proprio nulla. Domenica 18 dicembre in piazza con Pietro c’erano non più di 50 persone e nonostante le loro speranze, o meglio illusioni, Ratzinger dopo la usuale preghiera con la folla radunata sotto la sua abitazione non ha fatto nessun cenno al caso Orlandi. Silenzio assoluto. As usual. Sono infatti ormai 28 anni e mezzo che il Vaticano sa e tace, e che sappia è appurato in modo documentato e incontrovertibile.

Francamente non capisco il ritardo di oltre 28 anni nel prendere una iniziativa – la raccolta firme – che andava presa subito perché fin da subito è stato chiaro e man mano sempre più documentato che il Vaticano sa e tace, anzi depista e fa despistare. Mi è incomprensibile come potesse il fratello di Emanuela sperare davvero che papa Ratzinger aprisse gli archivi, che se sono stati chiusi a tripla mandata da Wojtyla, e così sono rimasti per tutto questo tempo, evidentemente è perché la verità sulla scomparsa di Emanuela è assolutamente inconfessabile. Oltretutto c’è un precedente, un brutto precedente, anzi due brutti precedenti che avrebbero dovuto rendere chiaro anche a Pietro che il papa avrebbe ignorato la sua supplica anche se firmata da migliaia di persone.

Il primo precedente è quello della richiesta della signora Muguette Baudat che nel 2002-3 ha chiesto inutilmente più volte a papa Wojtyla di riaprire il caso riguardante suo figlio, il cvice aporale delle guardie svizzere vaticane Cedric Tornay. Il 4 maggio 1998: il comandante degli svizzeri, colonnello Alois Estermann, sua moglie Glady Moza Romero e il vice-caporale Cédric Tornay vennero rinvenuti cadaveri in un appartamento del Vaticano, uccisi con armi da fuoco. Il Vaticano si affrettò a concludere che Cedric era molto deluso per non avere ottenuto la tradizionale menzione prima di essere congedato, tanto deluso da essersi suicidato non prima di avere ucciso Esterman e signora. La ricostruzione ufficiale faceva però acqua da tutte le parti e venne smantellata dalle perizie fatte fare in Svizzera dalla signora Muguette, che si rivolse più volte al papa “santo subito!” Wojtyla. Tutto inutile. Il Vaticano non s’è mai neppure degnato di risponderle. E anche in quel caso, come nel caso Orlandi, il Giudice Unico del Vaticano, avvocato Gianluigi Marrone, era nello stesso tempo anche il capo dell’Ufficio legale del parlamento italiano. Marrone era quindi la stessa persona che inviava in Vaticano le richieste dei nostri inquirenti e che dal Vaticano si auto rispondere “NO!”. C’è bisogno di commenti?

Il secondo brutto precedente è quello dei non pochi fedeli fiorentini che nel 2007 hanno scritto a papa Ratzinger per denunciare l’assoluta inerzia della curia di Firenze di fronte alle loro reiterate denunce di violenze sessuali subite quando erano bambini dal parroco don Lelio Cantini. Anche in questo caso, risposte zero. I poveri illusi fiorentini ignoravano che la curia taceva per ordine, impartito nel giugno 2001 ai vescovi di tutto il mondo, proprio di Ratzinger, all’epoca capo della Congregazione per la dottrina della fede, di nascondere alle autorità civili qualunque caso di pedofilia. Un ordine che ha provocato scandali negli Usa, in Irlanda, in Australia, di recente anche in Olanda, ma che in Italia si continua a far finta non sia mai esistito: “santo subito!” prudentemente anche Ratzinger?

Come si vede, era chiaro fin da subito che la speranza di Pietro&C che Ratzinger rompesse il silenzio era solo una pia illusione. Buona per un po’ di pubblicità e per qualche altra puntata di “Chi l’ha visto?”, in definitiva alla Giorgetti, ma certo destinata a cozzare contro il solito muro di gomma, anzi di acciaio.

Ultima osservazione. Pietro Orlandi nello spiegare alla stampa la sua delusione e amarezza per il silenzio e l’omertà (anche) di Ratzinger ha detto che è deluso e amareggiato anche in quanto cittadino vaticano. Domanda: come si fa a non avere gettato nella spazzatura la cittadinanza vaticana dopo 28 anni di silenzi, menzogne e depistaggi vaticani sulla scomparsa di sua sorella?

 

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