Sto seguendo il festival di Sanremo. Che nonostante tutto mi è sempre parso un buon modo per capire il Belpaese e tastarne il polso dei suoi cittadini, cioè di noi italiani.
Da “Vola Colomba” di Nilla Pizzi e “Volare” di Domenico Modugno anni ’50, al “Paese dei cachi” di Elio e le Storie Tese anni ’90 a “Vorrei avere il becco” e “Luca era gay” di Povia nuovo millennio, le canzoni del festival sono sempre state termometro, barometro e ritratto dell’ Italia reale, quella sotto le punte dell’iceberg dei soliti noti e anche sotto la superficie dell’acqua.
Bene. Mi chiedo come sia possibile che ci si scagli ormai a ogni pié sospinto contro gli sprechi e i privilegi del Parlamento, per non dire della politica più in generale, quando poi si applaudono con entusiasmo gli evidenti sprechi del festival in scena ogni sera a Samremo. Ci si compiace che per meno di cinque secondi di banale lettura dei risultati di ogni canzone si faccia arrivare un personaggio che, più o meno famoso che sia, intanto viene pagato, e mica poco. E se è donna arriva indossando un abito che, a parte la pacchianeria frequente e l’eleganza rara, non è mai sobrio, è sempre ridondante, roboante, rutilante ed eccessivo sia nell’estetica che di conseguenza anche nei costi. Abiti che oltretutto indossati una sera poi non si usano mai più.
Sì, certo, buona l’idea di far presentare a ogni concorrente due canzoni per far scegliere ai telespettatori quale delle due deve restare in gara, stile, mi pare, “Grande fratello” o “L’isola dei famosi”. Ma davvero queste canzoncine anemiche, a curva piatta, difficilmente distinguibili l’una dall’altra, meritano la trovata del “ne ascolti due e ne scegli una”? Due canzoni per ogni concorrente non significa forse raddoppiare tempi e costi?
Sì, certo, di Festival di Sanremo ce n’è uno e dura solo pochi giorni, il Parlamento e la politica invece ci sono tutti i santi giorni e non in una località sola, non solo a Roma, come invece il Festival solo a Sanremo. Ma di iniziative simili a questo festival l’ Italia è piena e l’andazzo non è molto diverso: quando si tratta di spettacolo, canzoni, sfilate ed elezioni di miss, il Belpaese non va per il sottile e applaude sempre, non bada a spese.
Guardando questo festival si ha l’impressione che somigli al mondo della politica non solo per gli sprechi. Le parole delle canzoni sono troppo spesso voli pindarici pretenziosi e che quindi finiscono col somigliare con il vaniloquio di troppi politici. Anche i volti di chi canta, spesso ripresi in primo piano per creare pathos ed effetti coinvolgenti, si deformano e si contorcono per spremere espressioni che vorrebbero essere intense, ma non vanno mai oltre l’insignificante se non patetico. Ricordano troppo spesso le faccine del Grillo comiziante e urlatore. Se questi sono i “big” e i “ggiovani” non mi pare ci sia da stare allegri.
L’impressione della somiglianza alla politica viene anche dal ricorso a mostri sacri del passato per far digerire il presente sorvolando sulla sua mediocrità o, peggio ancora, crisi prolungata. I nostri leader politici, ormai uno più deludente e a ruota libera dell’altro, si paragonano modestamente a De Gasperi, Togliatti, Papa Giovanni, Mandela. A Sanremo hanno scelto di coprirsi con Domenico Modugno, celebrato con un film rimembrato sul palco dal suo bravo interprete fratello del bravissimo Fiorello. Il problema però è che di Modugno e affini nella serra canterina di Sanremo non se ne vede neppure l’ombra.
Sappiamo tutto di quanto spendono o intascano gli onorevoli e affini, dei quali giustamente vogliamo online anche le virgole. Perché non mettere online anche i compensi dei Fazio, Litizzetto e ospiti vari? Così magari abbiamo anche modo di capire se questa edizione che vorrebbe passare per risparmiosa lo è davvero o, sotto la maschera familiar buonista dei “due come noi” Fazio e Littizzetto, offende anch’essa con i suoi costi e sprechi gli esodati e i pensionati.
Distrarsi e divertirsi va bene. E’ necessario e fa bene alla salute. Ma lasciarsi ingannare no, non va bene. Non è necessario e non fa neppure bene alla salute. Forse con i nostri vizi siamo troppo indulgenti, i vizi cioè della famosa “società civile”.