Beppe Grillo dica: 2.700 € troppi, anche senza i 3.600. Coerenza, “cittadini”!

È da sempre evidente che l’unico collante che tiene assieme l’armata Brancaleone del M5S è la battaglia sui costi della politica e sulla riduzione delle prebende degli eletti. Cose che solleticano molto il ventre popolare della nazione e che spiegano una discreta parte del successo, secondo me effimero, dei grillini. Su tutto il resto questa formazione un po’ di destra e un po’ di sinistra, un po’ estremista e un po’ qualunquista, un po’ moderata e un po’ barricadera, è profondamente divisa. Ora anche il collante dei tagli alla casta incolla sempre meno, come sta dimostrando la vicenda dei rimborsi spese.

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Beppe Grillo: anche se non lo dice, 2.700 euro al mese sono troppi anche senza i 3.600 di rimborso spese

Date le premesse e le solenni promesse, i grillini che pretendono di tenersi l’intero ammontare della “diaria” (circa 3.600 euro al mese), a prescindere dalla documentazione delle spese realmente effettuate, hanno evidentemente torto marcio. Però anche Beppe Grillo e i suoi fedelissimi, che non vogliono perdere del tutto la faccia nei confronti degli elettori, argomentano in proposito in un modo che a me sembra poco in sintonia con la dichiarata volontà di comportarsi da “cittadini” al pari degli altri.

Dice infatti l’urlatore biancocrinito e boccoluto, al secolo Beppe Grillo, che i soldi eccedenti le spese documentate vanno restituiti (al Parlamento? al gruppo parlamentare M5S? ad attività benefiche?). Ma il tragi-comico, e gli altri invischiati in questo dibattito, dovrebbero dirci quali “cittadini” normali oltre allo stipendio godono di un rimborso spese a piè di lista fino a un tetto di quel livello. Qual è il tecnico, l’impiegato, l’operaio che il 27 porta a casa la busta paga (e per i grillini sono 2.700 euro netti, certo ben più della retribuzione media del cittadino medio) e poi può farsi rimborsare pasti in trattoria, alberghi, taxi a go-go (peraltro i tassisti non rilasciano ricevute fiscali, per cui la “cresta” è a portata di penna) e via elencando.

Obiettano ovviamente i cittadini-parlamentari: “Ma noi dobbiamo vivere diversi giorni alla settimana a Roma, lontano dalla nostra residenza, e questo comporta notevoli spese”. E’ come se una persona cui viene dato un buono stipendio, più innumerevoli benefit, per andare a lavorare in una nuova città potesse accampare il diritto di essere spesato di tutto. Ma quando mai! Certo, un top manager particolarmente richiesto o un tecnico superspecializzato in un caso del genere avrà la forza contrattuale per ottenere il rimborso di alcune spese. Non è il caso di questi “cittadini” (fra cui, e va a merito del M5S, molti ex disoccupati e precari), che per il solo fatto di entrare a Montecitorio o a Palazzo Madama, anche a stipendio decurtato, hanno già vinto la lotteria (Vito Crimi, capogruppo del M5S al Senato, ha ammesso che in un mese nel nuovo ruolo si era visto arrivare quello che prima guadagnava in un anno).

Se la politica deve essere “servizio” – da cittadino a cittadini – e non fonte di copiose entrate, coerenza vorrebbe che i “cittadini” grillini rinunciassero a una diaria che è superiore a quello stesso stipendio che hanno scelto di darsi. Senza arrivare al rigore di Mario Sberna, il deputato “montiano” che, con cinque figli, trattiene per sé solo 2.500 euro al mese, viaggia in seconda classe, gira in sandali, vive a Roma ospite di un convento e predilige la pizza al taglio al ristorante, i “cittadini” del Grillo sparlante potrebbero fissare per i loro parlamentari non residenti un rimborso massimo (e da documentare) di mille euro al mese per l’alloggio (in due con duemila euro si può trovare un appartamento più che decente) e con questo cassare ogni altra pretesa.

Ma a quel che si vede il sospetto che a un buon inizio faccia seguito la solita musica è più che legittimo. Un po’ di decrescita felice delle buste paga, per favore, “le jour de gloire est arrivé… aux armes, citoyens”.

 

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