“Pensioni d’oro”. L’offensiva dell’apparto comunista che ha in mano l’Italia ha scatenato reazioni e proteste, tra le quali spicca l’articolo scritto da Oreste Saccone per “Fiscoequo.it“.
Oreste Saccone è avvocato e revisore dei conti ed è stato dal 1999 al 2009 al vertice della Agenzia delle Entrate, come direttore regionale del Molise, Basilicata, Calabria, direttore regionale aggiunto in Lombardia e Lazio, e Direttore centrale aggiunto della Direzione Normativa e Contenzioso. Oggi si dedica al volontariato, si occupa delle problematiche fiscali del no profit, di politica ed equità fiscale ed è esponente dell’Associazione Lef, Associazione per la legalità ed equità fiscale, che pubblica la rivista on line www.fiscoequo.it.
Il Governo delle larghe intese riprova a tassare le pensioni d’oro. Una misura che spesso ha accompagnato le manovre correttive degli ultimi anni, ma che puntualmente, la Corte Costituzionale ha bocciato spiegando che misure del genere possono essere adottate senza discriminare tra contribuenti con lo stesso reddito. Una raccomandazione che l’esecutivo non sembra voler prendere in considerazione. La legge di stabilità, infatti, prevede a decorrere dal 1° gennaio 2014 un contributo di solidarietà per 3 anni a favore delle gestione previdenziali obbligatorie, sulle pensioni corrisposte superiori a 150.000 euro lordi annui, pari al 5 per cento della parte eccedente il predetto importo fino a 200.000 euro, nonché pari al 10 per cento per la parte eccedente 200.000 euro e al 15 per cento per la parte eccedente 250.000 euro. Le somme trattenute vengono acquisite dalle competenti gestioni previdenziali obbligatorie, anche al fine di concorrere al finanziamento degli interventi a favore degli esodati.
In pratica i super pensionati sono chiamati a finanziare il pozzo nero dell‘Inps, cosa lodevole nelle finalità, ma sbagliata nel modo e con effetti economici del tutto irrisori. Per la Corte Costituzionale l’eccezionalità e la virulenza della crisi economico consentirebbe di far ricorso a misure eccezionali, come può essere un prelievo straordinario e limitato nel tempo, purché non producano “un effetto discriminatorio. In questa prospettiva un prelievo straordinario, non solo sulle pensioni, ma sui tutti i redditi oltre i 90.000 euro assicurerebbe in tre anni circa 6 miliardi di euro.
Un po’ di storia. Non più di qualche mese fa la Corte Costituzionale, dopo la bocciatura nel 2012 del prelievo straordinario di solidarietà a carico dei dirigenti e manager pubblici ha censurato per illegittimità costituzionale anche il contributo perequativo previsto sulle pensioni d’oro.
Le due disposizioni, presentate a suo tempo come misure di equità in tempo di crisi, costituivano l’ennesima invenzione mediatica del Governo Berlusconi – Tremonti.
La prima norma dichiarata incostituzionale, che interessava non meno di 26.400 dipendenti pubblici, prevedeva un prelievo per tre anni a carico dei dirigenti pubblici del 5% e del 10% per la parte del trattamento economico eccedente rispettivamente 90.000 euro e 150.000 euro.
La Corte costituzionale ha rilevato che la norma si pone in evidente contrasto con gli artt. 3 (principio di uguaglianza) e 53 (principio di capacità contributiva) della Costituzione. Difatti, l’introduzione di una imposta speciale, sia pure transitoria ed eccezionale, a carico soltanto dei redditi dei dipendenti pubblici viola il principio della parità di prelievo a parità di presupposto d’imposta economicamente rilevante. In conclusione il tributo imposto ai soli dipendenti pubblici determina un irragionevole effetto discriminatorio.
A distanza di un anno lo stesso Governo Berlusconi, sulla falsariga del prelievo straordinario di solidarietà a carico dei dipendenti pubblici, ha introdotto un contributo di perequazione sui super-pensionati pari al 5% per la parte eccedente i 90.000 euro, al 10% quella eccedente i 150.000 euro e del 15% per la parte eccedente 200.000 euro.
Di conseguenza la stessa Corte, con la sentenza 116 del 2013, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della disposizione, perché colpisce, a parità di reddito, i soli pensionati, in contrasto con i principi costituzionali di uguaglianza e di capacità contributiva. Il contributo di perequazione sui pensionati ha natura certamente tributaria, in quanto costituisce un prelievo analogo a quello effettuato sul trattamento economico dei dipendenti pubblici (dichiarato incostituzionale dalla stessa Suprema Corte). Anche in questo caso, la Consulta ha rilevato l’identità di ratio della norma censurata rispetto sia all’analoga disposizione che colpiva le retribuzione dei dirigenti pubblici già dichiarata illegittima, sia al contributo di solidarietà (l’art. 2 del dl n. 138 del 2011) del 3 per cento previsto sui redditi annui superiori a 300.000 euro. Tale sostanziale identità ha determinato un giudizio di irragionevolezza ed arbitrarietà per il diverso trattamento riservato ai pensionati.
Nonostante queste premesse il governo Letta ci riprova, mascherando il prelievo supplementare sulle pensioni d’oro come contributo di solidarietà a favore delle gestioni previdenziali obbligatorie. Dalla relazione tecnica che accompagna il disegno di legge di stabilità emerge, tra l’altro, che il maggior gettito effettivo stimato ammonta ad appena 12 milioni di euro l’anno per tre anni. A prima vista la prospettiva suggerita dalla norma appare suggestiva perché lega il contributo di solidarietà al ‘rapporto ente erogatore-pensionato’ e alla situazione di deficit dell’Ente.
Di fatto però è fuorviante. Non si tratta di un fondo pensionistico privato che in situazione di difficoltà chiede temporaneamente ai suoi holder – beneficiari un sacrificio straordinario. Nel nostro caso non c’è alcun legame diretto tra la pensione erogata e la situazione di deficit dei gestori di forme di previdenza obbligatorie, ma – come è scritto nella relazione tecnica – il contributo di solidarietà mira a concorrere all’equilibrio del sistema pensionistico nel suo insieme. In particolare concorre a finanziare l’incremento di 6.000 unità del numero dei lavoratori aventi titolo all’ottenimento del beneficio di cui all’articolo 1, comma 231, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (c.d esodati), finalità del tutto estranea alla posizione contributiva dei pensionati assoggettati al contributo di solidarietà.
In concreto, al di là del ‘nomen iuris’, la misura sembra costituire un prelievo forzoso privo di qualsiasi legame sinallagmatico, perché non direttamente correlato al rapporto tra il pensionato e l’ente erogatore, ma destinato a finanziare fabbisogni, comunque, generali. Nella sostanza il contributo di solidarietà sulle pensioni d’oro non sembra avere natura contributiva ma rappresenta piuttosto una forma mascherata di tributo speciale a carico dei soli pensionati. E’ più che probabile, quindi, che anche il nuovo contributo straordinario di solidarietà sulle super pensioni, se approvato, verrà censurato dalla Corte Costituzionale per il suo effetto discriminatorio, con un ulteriore buco nel bilancio dello Stato. A meno che il governo Letta e la sua maggioranza non faccia tesoro della strada indicata dalla Consulta e abbia il coraggio di riproporre il prelievo straordinario sui più ricchi, rimuovendo i motivi di censura che hanno portato alla bocciatura della Corte Costituzionale. L’eccezionalità e la persistenza della crisi economica consente senza dubbio di far ricorso a misure eccezionali, come può essere un prelievo straordinario e limitato nel tempo, purché -afferma la Corte Costituzionale- non producano ‘un irragionevole effetto discriminatorio’.
A tal fine basterebbe estendere a tutti i contribuenti un contributo straordinario di solidarietà del 5% per la parte del reddito imponibile eccedente 90.000 euro e del 10% per la parte di reddito eccedente 150.000 euro, abrogando nel contempo l’attuale prelievo del 3% sulla parte di reddito complessivo eccedente 300.000 euro, che si riduce ad un misero 1,71%, per effetto della sua deducibilità dal reddito complessivo.La misura interesserebbe per tre anni non meno di 500.000 contribuenti, con un gettito già nel 2014 non inferiore a due miliardi di euro, che consentirebbe non solo di assorbire gli effetti delle pronunzie della Suprema Corte, ma di assicurare in tre anni 6 miliardi, senz’altro utili a ridurre il cuneo fiscale e a favorire la crescita.
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