ROMA – Sono piccole ma con grandi debiti, sono legate al territorio, territorio da cui aspirano risparmio. Ma lontano dal territorio pompano i soldi investiti da correntisti e risparmiatori locali. Sono la brutta dozzina del mondo bancario italiano. Dodici istituti di credito, locali, dalle Marche ad Alberobello, da Spoleto a Ferrara, da Teramo a Monastier, che sono stati commissariati da Bankitalia. Affidati alla tutela della banca centrale perché con i conti troppo vistosamente in rosso. Rosso frutto, quasi esclusivo, di una gestione degli investimenti discutibile, o almeno poco, come usa dire, “trasparente”.
La notizia, partendo dal caso più eclatante che è quello di Banca Marche, la racconta Fabio Pavesi sul Sole24Ore. Il caso dell’istituto abruzzese, di cui Bankitalia ha da poco deciso il commissariamento per due mesi, è infatti esemplificativo. Il provvedimento è stato deciso alla luce dei dati negativi sul bilancio dell’istituto che ha chiuso il primo semestre 2013 con una perdita di 232 milioni di euro dopo la perdita 2012 di 527 milioni. Risultati frutto e preoccupanti per le “consistenti rettifiche su crediti poste in essere dalla banca. La procedura di Gestione provvisoria, operando sotto la supervisione della Banca d’Italia, avrà quindi il compito di condurre l’attività aziendale secondo criteri di sana e prudente gestione; dovrà inoltre individuare le necessarie iniziative di rafforzamento patrimoniale, al fine di completare l’azione di risanamento già avviata dalla banca”. Rettifiche di valore sui crediti per 451,8 milioni contro una stima 250-300 milioni, che hanno portato il patrimonio di Banca Marche al di sotto del livello minimo previsto dalla regolamentazione (8 % dell’attivo).
Numeri, negativi, che spiegano chiaramente perché i conti destino preoccupazione. Ma quello che i tecnici di Bankitalia intendono nella loro nota d’accompagno lo spiega, o almeno lo lascia intuire, il quotidiano di Confindustria. Scrive Pavesi: “In quasi tutti i casi il copione è stato lo stesso: raccolgo sì sul territorio ma poi impiego (male) i soldi altrove. A Ferrara la banca è finita ko per crediti dissennati a immobiliaristi in quel di Milano e le sofferenze di Banca Marche sono su grandi clienti fuori dai confini locali”.
E se investendo lontano dai confini della raccolta gli istituti in questione sono venuti meno allo loro natura “locale”, la cosa che più preoccupa Bankitalia e i correntisti, e che rende i conti drammaticamente squilibrati, più che la geografia sembra essere la qualità degli investimenti. I “rossi” dei vari istituti sono infatti fortemente gravati dal peso dei debitori insolventi, cioè di quei clienti, grandi, cui la banca ha prestato denaro che ora, per un motivo o per un altro, fatica ad ottenere indietro. Nel caso di Banca Marche, ad esempio, i cosiddetti ‘crediti deteriorati’ rappresentano il 24% dei crediti totali dell’istituto. Una mole che svela sicuramente la miopia degli amministratori che hanno evidentemente diversificato troppo poco i loro investimenti, concentrando prestiti su pochi clienti che, tra l’altro, si sono rivelati poi non sufficientemente affidabili.
Un copione, come scrive Pavesi, identico in quasi tutti i casi dei dodici istituti. Banche che raccogliendo clienti e fondi sul territorio, e investendoli poi fuori dal territorio e in modo svantaggioso, sono venuti meno come detto al loro ruolo di istituti locali, hanno concentrato eccessivamente il rischio d’investimento loro e dei loro clienti, per finire con i conti in rosso e le amministrazioni commissariate da Bankitalia.
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