ROMA – Sembrava non ci fosse ed invece era proprio sotto gli occhi. Cosa? La soluzione alla solo apparentemente irrisolvibile situazione di attuale stallo politico, naturalmente. L’uovo di Colombo per mettere le cose a posto è l’elezione del Presidente della Repubblica e, come racconta Repubblica, in casa Pd Bersani e i suoi hanno già studiato tutto perché, con i loro 495 voti, sanno/credono di poter fare il bello e il cattivo tempo. Ed eccolo il piano perfetto di Bersani: eleggere un Capo dello Stato sul cui nome Berlusconi ci sta, farsi mandare in Parlamento come capo del governo da questo nuovo presidente della Repubblica, cominciare a governare trovando strada facendo il permesso di Grillo. Ovvio, no? Elementare anzi. Alla sola condizione che Berlusconi non esca mai dal panico e mai Grillo esca dall’autismo politico. Altrimenti per il piano perfetto di Bersani diventa la testa di Bersani e del Pd stretta nella morsa tra, metti… un D’Alema e un Gino Strada candidati al Quirinale.
Due le strade praticabili che porteranno/porterebbero, entrambe, il segretario dei democratici a Palazzo Chigi. La prima prevede un nuovo inquilino del Quirinale non sgradito a Silvio Berlusconi che, in cambio, darebbe il via libera ad un esecutivo Bersani. E la seconda, se il Cavaliere decidesse di mettersi di traverso, peggio per lui e spazio ad un successore di Giorgio Napolitano targato Pd, magari Romano Prodi. Un Presidente “fatto in casa” che potrebbe comunque dare l’incarico per un governo di minoranza. Sembra impossibile ma era in realtà così semplice… A meno che Beppe Grillo, non si sa mai, decida di fare politica e presentare un suo candidato il cui nome fa smottare a sinistra…tutta la sinistra. Uno Zagrebelsky, un Gino Strada che i parlamentari M5S dovessero cominciare a votare dal 18 aprile. Vendola si è già avviato, è già smottato verso M5S. Se Grillo si sveglia e se Berlusconi benedice fai conto un D’Alema candidato presidente, allora il Pd smotta, esplode e quello di Bersani diventa il piano perfetto per perdere, stavolta proprio perdere, le prossime elezioni. Quanto prossime? Alla “perfezione” del piano Bersani va aggiunta la convinzione che sta maturando nel “tortellino magico”, lo staff di Bersani, che, una volta impadronitisi del governo, non si voterà almeno fino al 2015. Glielo deve aver detto un consulente…dei Caf?
La conferma del governo Monti ha posticipato il problema della formazione di un nuovo esecutivo anticipando la questione Quirinale. Con la decisione presa da Napolitano il primo punto dell’agenda politica è ora l’elezione del Capo dello Stato e, in questo scenario, gli strateghi del Pd sembrano avere le idee un po’ più chiare. Almeno stando ai racconti del quotidiano diretto da Ezio Mauro che, solitamente, su cosa accade in casa Pd è ben documentato. Fallita la strategia studiata per un mese, da fine febbraio sino all’ultimo tanto disperato quanto inutile tentativo di Bersani di corteggiare i 5 Stelle, la nuova pianificazione dei democratici per riprendere in mano la vita politica del Paese sembra…uguale a quella di prima. Uguale, anzi identica: Bersani candidato a guidare il governo. Di minoranza sì, ma anche di “cambiamento”. Pianificazione che prevede più o meno niente di meno che risolvere la partita Quirinale con una mezza intesa con Berlusconi e rislvere la paryita governo con una mezza intesa con Grillo. Un po’ come la “gioiosa macchina da guerra” che qualche elettore ancora ricorderà.
Il punto di partenza è la consapevolezza della forza che il Pd ed il centrosinistra hanno nella partita per il Colle. I numeri sono infatti in questo caso diversi, su 504 voti necessari per l’elezione del nuovo Presidente, i democratici ne hanno in mano 495 e, cosa più importante, né Pdl né Grillo si avvicinano nemmeno lontanamente a queste cifre. E’ di conseguenza il Pd l’attore principe di questa elezione e senza di lui non si farà nessun Presidente. Partendo da questa consapevolezza i democratici sanno di poter dettare condizioni e dirigere la partita. Ma potrebbero anche sbagliare gioco.
Lo schema favorito nella testa di Bersani passa per Berlusconi. L’idea è di offrire al Cavaliere un candidato al Colle a lui non sgradito: Massimo D’Alema, Giuliano Amato o Franco Marini, e chiedere un cambio un lasciapassare per un esecutivo Bersani poi. Sul piatto, per rilanciare l’offerta, anche la presidenza del Senato lasciata al Pdl, magari a Berlusconi stesso. Ipotesi interessante che metterebbe il Cavaliere al sicuro dai processi e che si realizzerebbe dirottando Pietro Grasso, attuale presidente di palazzo Madama, sulla poltrona di ministro della Giustizia. Ma al Pd hanno valutato, pesato l’effetto che fa un D’Alema accettato presidente anche da Berlusconi? Hanno valutato che festa farebbe Grillo all’idea e che can can? Magari con l’aggiunta di Grasso dirottato per far posto a un big del Pdl al Senato? Più o meno lo stesso effetto che avrebbe fatto un governo appoggiato dal Pdl. Ma, se al Pd ci hanno pensato, devono aver pensato che un governo con il Pdl dura mesi se non anni, mentre eleggerci un Capo dello Stato insieme dura giorni, al massimo settimane.
E se Berlusconi non cedesse ad un governo Bersani? Niente paura. In casa Pd i numeri sono dalla loro. Se il Cavaliere facesse il difficile allora la scelta andrebbe su un Presidente “fatto in casa”, Romano Prodi o Stefano Rodotà, andando a pescare i voti che mancano tra montiani e grillini sulla falsariga dello schema adottato al Senato con Grasso. Un Presidente di casa che potrebbe poi dare comunque l’incarico al segretario Pd, anche per un governo di minoranza, e che avrebbe il potere di sciogliere le Camere lasciando Berlusconi al suo destino. Perfetto, e se Grillo si mette di mezzo, gioca anche lui, la smette di gridare “andate a lavorare” dagli spalti e scende in campo? Se denuncia “l’inciucio presidenziale” Bersani-Berlusconi su D’Alema, vero o no che sia, e candida un suo Gino Strada? Se Grillo si muove fa a fette il Pd. Bersani può per sua fortuna sperare, quasi contare sull’autismo politico di Grillo. Il piano perfetto è appeso a questo chiodo. E all’altro, quello del panico di Berlusconi di vedersi fatto fuori. Fosse lucido, basterebbe a Berlusconi dire un mezzo sì a D’Alema o ad Amato per “bruciare” i loro nomi e tutti quelli tragati Bersani per passare ad altro.
Come non averci pensato prima? Così semplice e così sfuggente la soluzione dell’attuale crisi. A condizione che tutti recitino la parte da Bersani assegnata naturalmente. Repubblica segnala, in piccolo, il potenziale pericolo derivante dai renziani, possibili falchi tiratori. Ma almeno un’altra enorme incognita getta la sua ombra sul piano che sembra perfetto. E l’ombra risponde al nome, ancora una volta, di Beppe Grillo. Se i 5 Stelle decidessero ad esempio di smettere di dire solo “no” e lanciassero, votandolo, un loro candidato? Se questo candidato rispondesse al nome di Gino Strada o Gustavo Zagrebelsky poi, come potrebbe Bersani spiegare ai suoi elettori che non lo vota perché preferisce accordarsi magari su D’Alema con Berlusconi? I numeri sarebbero comunque dalla parte del segretario, ma gli elettori non più. Un piano perfetto quello studiato in casa Pd, peccato però che i piani perfetti quasi mai si realizzino.
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