ROMA – La civiltà umana potrebbe finire, essere spazzata via da un errore di valutazione. Migliaia di anni di conquiste e milioni di evoluzione biologica corrono il rischio, tutt’altro che teorico, di essere cancellati da una guerra nucleare scatenata per sbaglio. Era così durante la Guerra Fredda ed è così oggi quando, per alcuni versi paradossalmente, i rischi di un olocausto atomico sono anche più alti che in passato. A dire che si stava meglio quando si stava peggio, e cioè che i rischi sono ora aumentati rispetto a quando Usa e Urss si fronteggiavano e tenevano il mondo sul filo del rasoio, è una fonte decisamente autorevole: le Nazioni Unite.
Come riporta Enrico Marro sul Sole24Ore: “A lanciare l’allarme è un recente e interessantissimo report dell’Onu, più precisamente dell’United Nations Institute for Disarmament Research, dal titolo Understanding Nuclear Weapon Risks. Uno studio di grande attualità scritto proprio nelle settimane in cui Trump ordinava al Pentagono un dossier sull’arsenale nucleare statunitense e su come può essere usato come arma ‘deterrente’”.
Allarme che parte dal rischio più grande, quello che viene definito ‘launch-on-warning‘, e cioè l’attacco nucleare scatenato da Stati Uniti o Russia come ritorsione a un lancio, presunto ma non reale, di missili nemici. Un’eventualità che già si è presentata in passato almeno una volta. Era la mezzanotte del 26 settembre 1983 quando il sistema sovietico di allarme segnalò il lancio di cinque missili nucleari statunitensi su Mosca. Era un tanto banale quanto clamoroso errore del sistema di “early warning”, che aveva scambiato i riflessi del tramonto sulle nuvole per missili balistici intercontinentali. Un errore che poteva costare milioni di morti, forse la fine della vita sulla Terra e molto probabilmente la fine della nostra civiltà. Ma fortunatamente non andò così perché la dea bendata assunse i panni del giovane tenente colonnello Stanislav Petrov, che avrebbe dovuto ordinare il contrattacco nucleare sugli Stati Uniti, e che si rifiutò di credere a un lancio di soli cinque missili. Salvando il mondo. Petrov, per la cronaca, perse il posto per la sua decisione.
Se la storia di Petrov è facilmente reperibile on line e nota, chissà quante altre situazioni potenzialmente analoghe non sono state rese note all’opinione pubblica, chissà quante volte si è rischiato tutto, davvero tutto, per un banale errore. A quasi tre decenni dalla fine della Guerra Fredda però, non solo questa ‘criticità’ non è stata risolta, ma la situazione è addirittura peggiorata e i rischi sono aumentati. Da allora infatti si è allungata la lista di Stati dotati di missili balistici, e parallelamente si sono moltiplicate le situazioni in cui un errore può rivelarsi fatale. Gli attori in campo non sono più solo due e questo non fa che complicare le cose. Inoltre le nuove tecnologie, invece che aumentare la sicurezza, hanno introdotto nuovi elementi in questo caos. E ogni elemento può trasformarsi in una lettura sbagliata da parte delle macchine, dei computer e dei sistemi di sorveglianza militare. E’ allora l’elemento umano l’unico che può correggere eventuali errori. Ma l’uomo è, per sua natura, imperfetto. E oltre a questo simili decisioni vanno prese in una manciata di minuti. Considerando che un missile balistico intercontinentale russo o statunitense impiega circa mezz’ora a colpire il territorio nemico, il presidente degli Stati Uniti avrebbe appena otto minuti per ordinare il contrattacco. E quello russo ancora meno tempo, data l’estensione geografica del Paese. E nessuno di loro sembra Petrov.