ROMA – Matrimonio ateo equiparato a quello religioso? “Che nessuno osi dividere quello che la Ragione ha unito”. Potrebbe suonare più o meno così la formula del futuro matrimonio ateo, celebrato da sacerdote ateo con, al posto della croce o della stella di David, un’immagine della “dea” Minerva, personificazione della Sapienza. Non è ancora realtà, ma potrebbe ben presto diventare tale. Una recente sentenza della Cassazione e, soprattutto, gli accordi europei, aprono infatti la strada all’equiparazione dell’ateismo ad un culto religioso. Con relativi diritti.
Con una sentenza depositata il 28 giugno scorso, le sezioni unite civili della Cassazione, hanno rigettato il ricorso della Presidenza del Consiglio contro la sentenza del Consiglio di Stato del 18 novembre 2012 che, a sua volta, riformava una precedente decisione del Tar Lazio. Il tribunale amministrativo aveva dichiarato inammissibile il ricorso dell’Uaar (Unione atei e agnostici razionalisti) contro la decisione della Presidenza del Consiglio di non aprire trattative con essa ai fini della stipulazione di una ‘intesa’ come quelle previste dalla Costituzione (art.8) per regolare i rapporti delle confessioni religiose con lo Stato. Percorso giuridico tortuoso che, con la sentenza di fine giugno, apre in parole povere la strada ad una possibile “trattativa” tra Stato e associazione degli atei italiani, sulla falsariga di quelle che l’Italia ha con le confessioni diverse da quella cattolica e che, in teoria, potrebbe portare anche al riconoscimento del matrimonio celebrato da un ipotetico sacerdote ateo.
Ma se la sentenza della Cassazione non è che una sorta di indicazione, nemmeno equivalente ad un primo passo di un cammino, la storia continentale e la cronaca comunitaria lasciano intravedere più di una possibilità per gli atei di essere equiparati ad una confessione. Scrive Francesco Margiotta Broglio sul Corriere della Sera:
“Non si possono trascurare alcune esperienze di Paesi europei e i recenti sviluppi dell’ordinamento giuridico dell’Unione Europea. Vanno richiamate, sotto il primo profilo, le esperienze della Repubblica federale tedesca, dove alcuni lander hanno legiferato sulla base di intese con le Federazioni ateistiche, dei Paesi Bassi che riconoscono il movimento umanista (e in quale caso lo finanziano alla pari di quelli religiosi) e del Belgio che riconosce il ‘Consiglio laico centrale’ e assicura agli assistenti spirituali ‘filosofici’ gli stipendi e pensioni garantiti al clero dei vari culti riconosciuti. Ma è il secondo profilo ad avere maggiore rilievo giuridico e politico: l’art.17 del Trattato sul funzionamento della Unione Europea (Lisbona) parifica le ‘organizzazioni filosofiche e non confessionali’ alle ‘chiese, associazioni o comunità religiose’, riconoscendo di entrambe ‘l’identità e il contributo specifico’ e impegnando l’Unione a mantenere, con le une e le altre, il medesimo ‘dialogo aperto, trasparente e regolare’. Una disposizione che, combinata con la Carta dei diritti fondamentali della Ue e con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (diritti tutti giustiziabili alle Corti di Strasburgo e di Lussemburgo), assicura alle organizzazioni degli atei e agnostici uno status e una dignità che mettono credenti e non credenti allo stesso livello di diritti anche collettivi e di garanzia contro ogni tipo di discriminazione, anche con riferimento ad eventuali regimi di ‘privilegio’”.
Se però la stessa etimologia del termine ‘ateo’ che, letteralmente, significa senza dio, potrebbe lasciare più di un dubbio sull’opportunità che l’ateismo venga equiparato ad un culto, va detto che questo è vero e sarebbe vero forse su un piano teorico e soprattutto teologico. Mentre diverso è il discorso quanto dalla teoria si passa alla pratica e dalle idee ai diritti. Ed ecco allora che l’idea del “prete ateo” diviene meno risibile. Perché, ad esempio, i cattolici possono sposarsi sotto la croce, i musulmani sotto la mezza luna e via dicendo e gli atei non sotto lo sguardo di Minerva o giurando su un testo di Giordano Bruno?
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