ROMA – Massimo D’Alema ci ha pensato e ripensato e poi ha fatto sapere tramite Corriere della Sera: diamo la presidenza del Senato a Berlusconi, quella della Camera a Grillo e così loro ci lasciano il passaggio per Palazzo Chigi. Una manovra brillante e di sicura riuscita solo se a Risiko giochi da solo. L’immagine di D’Alema che dispone carrarmatini sul ripiano di un gioco da tavolo è purtroppo molto vicina alla realtà. Al Pd non sanno che fare, sono divisi sul che fare, mostrano di non capire quel che accade. Grillo non vuole presidenze delle Camere né vuole lasciare a qualcuno il passaggio a Palazzo Chigi, neanche previo riscossione pedaggio. Berlusconi non vuole collaborare, vuole trattare. Trattare e ottenere un capo dello Stato che gli garantisca immunità. E l’elettorato non intende né sermoni né lezioni. Pretende soldoni che non ci sono. D’Alema gioca a Risiko, da solo. Non è questa la strada per “Salvare il soldato Pd”.
Soldato Pd che ha già perso tre dei suoi fratelli, proprio come nel film. Ucciso, caduto il governo da soli. Quel forte governo Bersani che faceva il “giusto” che Monti non aveva fatto. Che era tanto forte da mantenere l’Italia in Europa e nell’euro e da cambiare insieme i connotati all’Europa. Quel governo così forte è stata la prima vittima del fuoco elettorale. Caduto, ucciso anche il governo Bersani con alleati, Monti di qua, Vendola e Camusso di là. Insomma il governo che salva e riforma, che aggiusta e non scassa. Morto anche lui. E caduto sul campo anche il fratello più giovane: l’idea di qualcosa che in Italia tiene miracolosamente insieme i precari da dieci anni e i pensionandi di neanche sessanta anni.
Ora il soldato Pd, l’ultimo dei fratelli ancora in vita, rischia grosso anche lui e con lui sarebbe estinzione della famiglia. Se si fa cogliere in contatto di governo con Berlusconi il soldato Pd muore fulminato, sparisce in un bagliore. Se invece si mette ad attendere che Grillo gli butti l’osso o la razione di sopravvivenza di fatto collabora con chi ha per strategia di affamarlo e farlo morire d’inedia. Tanto per capirci, hanno inseguito per venti anni i leghisti senza capirci nulla e senza tirarne fuori un solo voto, beh il “grillismo”, se così si può dire, è di tutto e di più rispetto al leghismo.
Se qualche anno fa l’invocazione targata Nanni Moretti, ma rappresentativa di un’ampia fetta dell’elettorato di centrosinistra era “D’Alema, ti prego, dì una cosa di sinistra”, l’invocazione che si fa ora largo è: “Qualcuno salvi il soldato Pd”. E ‘baffetto’, l’ex premier D’Alema, è protagonista della prima come della seconda. E’ infatti lui tra quelli che all’interno del Pd chiedono se non un’apertura almeno una non preclusione alla possibilità di un accordo con Silvio Berlusconi. Accordo che garantirebbe, forse, la tanto agognata governabilità, ma che segnerebbe la morte del Partito Democratico. Le scelte che da qui in avanti il Pd prenderà segneranno non solo il futuro del Paese, ma anche il destino del partito guidato oggi da Pierluigi Bersani. Un partito che da anni fatica a trovare un’identità e che ora sembra essere arrivato ad una sorta di resa dei conti. Milioni di elettori sono già persi, circa 4 tra il 2008 e il 2013, e ulteriori errori di valutazione politica potrebbero non avere possibilità di recupero.
La partita si gioca ora, ovviamente, sulla composizione o sul tentativo di composizione di una prossima maggioranza. L’idea di tornare velocemente alle urne sembra, in casa Pd, quasi definitivamente scartata. Accantonata con la motivazione che per il Paese non sarebbe un bene ma messa da parte anche perché significherebbe, inevitabilmente, un tutti a casa per Bersani e soci che dovrebbero lasciare spazio e guida ad altri. Questo perché Bersani e i suoi le elezioni le hanno appena perse e presentarsi di nuovo con loro agli elettori sarebbe sinonimo di suicidio politico. Potrebbe funzionare questa cura per il soldato Pd, potrebbe funzionare se Bersani si presentasse in Parlamento chiedendo la fiducia sulla base di un programma ambizioso e se, una volta bocciato, si dimettesse e lasciasse spazio alla nuova generazione, chiaramente Matteo Renzi. Potrebbe funzionare ma non piace e non trova consensi se non, forse, tra i renziani che al momento mantengono un discreto riserbo.
Se l’ipotesi elezioni subito non viene presa in considerazione per il soldato Pd non rimangono che due possibilità: appoggiarsi e avere l’appoggio di Beppe Grillo, o puntare viceversa sul Cavaliere. Silvio Berlusconi, in nome della governabilità, ha già dato la sua disponibilità. Disponibilità che non è ovviamente gratuita e che prevederebbe un accordo preventivo sui nomi dei Presidenti delle Camere oltre che su quello del prossimo Presidente della Repubblica. Ma disponibilità che avrebbe un costo molto più alto in termini di voti. Un governo Pd-Pdl non durerebbe verosimilmente a lungo. E se il Pdl si potrebbe presentare poi agli elettori forte dell’ennesimo “sacrificio” per il bene del Paese, il Pd dovrebbe invece spiegare ai suoi perché dopo un’elezione che sembrava impossibile perdere, dopo una campagna elettorale fallimentare e dopo un’alleanza con l’indigeribile e ingiustificabile Berlusconi dovrebbero ancora una volta dargli il proprio voto.
Un governo Pd-Pdl, valutano in molti anche a Botteghe Oscure, sarebbe manna dal cielo per Grillo e una pietra tombale per i democratici. Valutazione diffusamente condivisa ma non totalmente. Come detto ad esempio D’Alema non ne è convinto, impelagato forse ancora a capire cosa nella schema centrosinistra più Berlusconi non abbia funzionato nella Bicamerale. Variante di questa linea potrebbe essere una sorta di governo tecnico-bis ma, a parte che ormai l’Italia comincia ad aver “bruciato” tutte le personalità istituzionali, non sembra Bersani intenzionato a farsi da parte e non sembra nemmeno una soluzione per il paziente, grave, Pd.
Se il ritorno alle urne non convince, e se l’occhiolino al Cavaliere costerebbe la vita ai democratici, l’unica alternativa che rimane è quella dell’accordo con i grillini. Ma Grillo non vuole, non può e, secondo logica e missione M5S, non deve.
Quindi come si salva il soldato Pd? Diceva a suo tempo uno che del Pci non era per nulla amico, diceva Bettino Craxi: “Primum vivere deinde philosophare”. Ecco il craxismo è l’ultima cosa che dalle parti del Pdci, Pds, Ds, Pd hanno veramente capito. Da allora in poi quanto a lettura del sociale da parte del partito non si è andati oltre l’interpretazione delle figure in un libro di testo. Di Craxi, del craxismo da loro contrastato recuperino l’invito al prima sopravvivere. Cioè niente intesa con Berlusconi. Poi, volessero capire anche il resto, dovrebbero richiudere il mappamondo alla Risiko di D’Alema, aprire un libro di storia e leggere che succede quando una comunità, un popolo, un elettorato entra in contraddizione, rigetto e dispetto con la realtà. Son rivolte e spesso anche di più e talvolta anche di peggio. Cose che non fermi e non cavalchi facendo al sentinella della governabilità, la guardia al bidone delle istituzioni.
In quei casi, in questo caso, devi correre il rischio. Fuor di immagine devi dire al paese che se nessuno vuol governare, se nessun governo è possibile nei parametri della realtà, allora si voti di nuovo in autunno, appena si può dopo aver eletto il nuovo capo dello Stato, l’unico che può sciogliere le Camere. E si voti ponendo all’elettorato la vera domanda, la vera alternativa, la vera scelta: fuori o o dentro dall’Europa e dall’euro? Si rischia la pelle ma solo così, forse, ci si salva e comunque si è adeguati alla storia che si vive. Anche il soldato Ryan si salva, viene salvato solo dopo e perché ha combattuto. In prima linea, sul terreno e non sul tavolo del Risiko.
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