ROMA – Ne resterà solo uno come in Highlander, uno che potrà decidere le sorti del partito e, forse, del Paese, o al contrario dopo lo scontro a colpi di dichiarazioni e sgambetti in Aula si arriverà ad una mediazione, magari uno scambio come nelle trattative di pace classiche?
Federico Geremicca e Marcello Sorgi, due che di politica si occupano da tempo e che di questa conoscono logiche e riti, analizzando l’ultima guerra in ordine di tempo che agita il Partito Democratico, prevedono esiti differenti.
Per Geremicca, da questo nuovo ennesimo scontro tra Matteo Renzi e la “vecchia guardia”, uscirà un solo vincitore che sarà in grado di determinare la futura politica dem. Diversa l’analisi di Sorgi, secondo cui la soluzione sarà una mediazione, uno scambio sintetizzabile nella formula lavoro contro preferenze. La cosiddetta “vecchia guardia”, secondo Sorgi, finirà col barattare la riforma del lavoro che tanto non ama con qualcosa d’altro, come ad esempio l’introduzione delle preferenze nella nuova legge elettorale.
Le guerre intestine all’interno del Pd non sono certo una novità e lo sono ancor meno da quando nel panorama democratico è comparso Matteo Renzi. Di scontri all’ultimo sangue, di resa dei conti, di muro contro muro si parla quasi regolarmente quando si parla di Pd. Non a caso i democratici, prendendo in prestito le parole di Roberto Benigni, sono gli unici a fare opposizione a Renzi.
Questa volta però ad essere inusuale è l’oggetto del contendere. In ballo c’è oggi un vero e proprio totem della sinistra: l’articolo 18 e la regolamentazione del mercato del lavoro. La riforma in mente al premier, e segretario del Pd Renzi, è “surreale” per l’ex segretario dem Pierluigi Bersani, “di destra e un tradimento degli elettori” per l’ex viceministro dell’economia Stefano Fassina, sempre Pd. E non più dolci sono i toni degli altri detrattori del progetto.
Per Geremicca quella in atto “è una sorta di guerra civile (che) qualcuno dovrà vincere e qualcun altro perdere, di qui non si scappa: e chi prevarrà potrà ridisegnare oppure restaurare profilo, valori e identità del sempre inquieto Pd”.
“Vincesse Renzi – spiega Geremicca -, quella sorta di mutazione genetica avviata con il suo avvento alla segreteria e poi al governo (41% tre mesi dopo) produrrebbe una nuova e forse decisiva trasformazione del partito: visto che la questione mette in discussione la sua stessa ragione sociale. Vincessero gli altri – la ‘vecchia guardia’, se vogliamo dir così – gli esiti potrebbero essere imprevedibili: e nemmeno il precipitare verso elezioni in primavera, sarebbe più da escludere”.
Al contrario, secondo l’analisi di Sorgi, visto che “i leader della ribellione anti-Matteo hanno ben chiaro che il governo non ha altra strada (rispetto a quella della riforma annunciata ndr.) e che la società civile e il mondo del lavoro sono molto cambiati dai tempi dello statuto dei lavoratori, la battaglia finirà con l’essere parlamenta rizzata e condotta con emendamenti ‘riformisti’”. In sostanza, continua Sorgi, i contrari alla riforma non tradurranno la loro posizione in “un ‘no’ tondo come quello di Berlinguer a Craxi trent’anni fa, all’epoca della scala mobile. Sarà piuttosto un ‘ni’ e (…) la trattativa riguarderà la legge elettorale”. L’articolo 18 quindi verrà, secondo questa tesi, sacrificato sull’altare dell’Italicum e, più nel dettaglio, delle preferenze. “La minoranza Pd – ragiona Sorgi – alla fine potrebbe proporre uno scambio: lavoro contro preferenze, che ridando anche agli elettori settantenni il diritto di scegliersi i candidati, garantirebbe una riserva indiana ai post-comunisti che temono di essere cancellati da Renzi”.
La “vecchia guardia”, dicevamo. In certi casi vecchissima e ancora amatissima tra i soggetti – i lavoratori dipendenti, per semplificare – in nome dei quali divampa la guerra civile. Sergio Cofferati, animatore di manifestazioni oceaniche in difesa dell’articolo 18, quasi non ci crede: «Si punta alla cancellazione di diritti elementari che la sinistra, prima, e il Pd, poi, hanno sempre difeso. Buttiamo via i nostri valori in cambio di che?».
In cambio dell’ennesima legittimazione a governare, si risponde da solo: e sempre più spesso il destino di chi governa si decide in Europa. «Se il Pd si spacca, se la tensione cresce, se i sindacati proclamano uno sciopero – annota Cofferati – Renzi pensa di poter poi andare in Europa e dire: “Avete visto che casino? Eppure la riforma io l’ho fatta”… Desolante. La sensazione è sempre più quella di una caduta verticale di professionalità, di capacità di governare».
Molte cose sono già andate di traverso alla “vecchia guardia” (a “quelli di prima”, per dirla con Renzi): il patto con Berlusconi, una legge elettorale contestata, una riforma del Senato imposta a colpi di diktat e metodi di direzione (del partito e del governo) mai davvero digeriti. Il Pd trasformato in un qualunque “partito del leader”. Passo dopo passo, verrebbe da dire, la mutazione continua: ma il passo che il governo intende fare sul lavoro, stavolta, è di quelli capaci di richiamare alle armi anche chi – contro il proprio stesso temperamento – s’era messo mestamente d’un canto.
“Se Renzi va avanti, troverà dei giapponesi pronti a combattere – annuncia Rosy Bindi -. Si comporta come se stesse in un altro partito: non ha mica vinto le primarie promettendo la cancellazione dell’articolo 18! Comunque, se il presidente del Consiglio è tranquillo perchè è certo di avere i voti di Berlusconi, bene: vuol dire che saranno sostitutivi di alcuni dei nostri. Io ho partecipato e sostenuto le manifestazioni di Cofferati – conclude – e pensavo di aver fondato, col Pd, un partito di sinistra: se lo si vuol trasformare in qualche altra cosa, ci sarà tanta gente pronta ad opporsi».
Un partito di sinistra, o di sinistra-centro: che non deve cambiare né collocazione né ragione sociale. «Se gli innovatori sono la destra, che pensa di uscire dalla crisi riducendo i diritti e la dignità di chi lavora – conferma Gianni Cuperlo – io penso per noi sia giusto stare dall’altra parte». Un partito di sinistra, o di sinistra-centro, che non può trasformare la sua segreteria «in un completamento dello staff di Renzi» (Fassina). Un partito di sinistra, o di sinistra-centro – però – che prima perdeva e adesso vince: allargando, appunto, i propri consensi non solo al centro ma, talvolta, perfino a destra. E questo è un fatto – frutto della mutazione – con cui si dovrà pur fare i conti.
Dice Pier Luigi Bersani – ultimo segretario “tradizionale” del Partito democratico – che quel che pare voglia proporre il governo gli sembra “surreale”. E rincara: «Si descrive l’Italia come vista da Marte». Vien da chiedersi come descriverebbe il Pd qualcuno che lo osservasse da Marte. Un partito in trasformazione? In disfacimento? Un partito moderno, tanto moderno da sembrare americano? Difficile dirlo.
Visto dalla terra, invece, comincia a ricordare – dopo qualche mese di calma piatta – certi attualissimi e terribili scenari medio-orientali: califfi, ribelli, annunci di vendette e guerre sante di cui pochissimi avvertivano la mancanza. Non potrà durare a lungo, così. «E infatti Renzi è lì che osserva e decide il da fare – conclude Rosy Bindi -. Con la pistola delle elezioni sempre lì, sul tavolo, pronta a sparare…».
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