ROMA –Gli italiani le pensioni se le pagano certo, ma finora e ancora con le tasse e non certo solo con i contributi. L’Inps ha pagato nel 2014 324 miliardi (stima) e ne pagherà nel 2015, 328 e 333 nel 2016. Incassando rispettivamente 313 poi 319 e 324 miliardi nei tre anni del triennio. Ogni anno mancano una quindicina di miliardi nonostante la riforma delle pensioni. Ci pensa lo Stato con le tasse a ripianare, infatti l’Inps è debitore verso lo Stato di circa 100 miliardi all’anno, debito in crescita. Debito in crescita e bilanci in rosso.
Sono i conti dell’Inps, quei conti con cui, tra pochissimo, dovrà confrontarsi l’economista e nuovo presidente dell’istituto pensionistico Tito Boeri. Conti che parlano di debiti verso lo stato raddoppiati o quasi negli ultimi anni e di un patrimonio praticamente azzerato. Colpa certo dell’incorporazione dell’Inpdap, ma non solo, e controprova ne è un dato per certi versi inquietante: per ogni 126 pensioni erogate ci sono appena 100 lavoratori che contribuiscono a pagarle. E’ il saldo tra un paese che paga una pensione (23 milioni) ogni 2,5 abitanti, ha 16, 5 milioni di pensionati e ha perso circa un milione di posti di lavoro.
Quindi o una parte rilevante del fisco dovrà ancora e sempre essere indirizzata a pagare pensioni, insomma pensioni pagate sì con gli individuali contributi dei lavoratori ma anche con tasse di tutti i contribuenti, o pensioni tagliate o il controllo rigoroso delle altre uscite dell’Inps, prima tra tutte quelle per la malattia. Pochi lo sanno ma le spese per malattia dei lavoratori, vera o presunta, pesano molto sulle casse Inps.
Ecco il dettaglio uscite Inps: per le pensioni propriamente dette 266,9 miliardi nel 2013, per malattia, maternità e Tfr pubblici: 36,3 miliardi, pensioni sociali 15,8 miliardi.
“Secondo l’ultimo rapporto annuale (del 2013, ndr.) l’Inps ha un rosso di quasi 10 miliardi e per finanziarsi ha bisogno di 100 miliardi di trasferimenti dallo Stato all’anno — dice Stefano Caselli, prorettore dell’Università Bocconi (dove anche Boeri insegna), sentito da Alessandra Puato per il Corriere Economia — L’acquisizione dell’Inpdap, nel 2012, le ha dato il colpo di grazia: raddoppiati i debiti con lo Stato, dimezzato il patrimonio netto. Non è un impatto temporaneo”. Se le pensioni continueranno a salire, due le strade: ‘O lo Stato e i contribuenti mettono mano al portafoglio, finanziando le maggiori uscite, o si riducono le spese’. Come? ‘Per non tagliare le pensioni, una via è il controllo rigoroso delle spese per malattia, per esempio. Pesano molto. Eclatante il caso recente dei vigili a Roma’”.
Analisi a parte, i numeri, storicamente considerati ‘freddi’, sono se possibile ancor meno incoraggianti. Nel 2013 l’Inps ha avuto infatti un saldo di bilancio negativo per 9,875 miliardi, l’anno precedente per 8,99. Fin qui, l’effetto Inpdap. Prima che l’Inps incorporasse l’Istituto di previdenza dei lavoratori pubblici, infatti, il suo saldo entrate-uscite era positivo, seppur in deciso calo (831 milioni nel 2011, 1,4 miliardi nel 2010).
E’ però con il 2012 che arriva la svolta, in peggio. I debiti verso lo Stato, con l’incameramento dell’Inpdap, quasi raddoppiano arrivando a 92,6 miliardi; e anche il patrimonio netto si riduce a un sesto, 7,5 miliardi (mentre per il 2014 è previsto l’azzeramento, salvo interventi straordinari). “La gestione finanziaria dell’Inpdap evidentemente nascondeva problemi”, dice Caselli.
Numeri che sono, almeno per l’anno appena concluso, cioè il 2014, poco più che delle mere previsioni visto che, nelle elaborazioni fatte ad inizio anno, si partiva da ottimistiche prospettive di crescita del Pil e dell’inflazione che non si sono poi verificate. Numeri che comunque parlano di un orizzonte in cui continueranno ad essere più le uscite (324 miliardi attesi nel 2014, 328 nel 2015, 333 nel 2016) che le entrate correnti, stimate rispettivamente in 313, 319, 324 miliardi.
L’Istituto di Previdenza, per sopravvivere, è oggi costretto a fare quindi affidamento sullo Stato e soprattutto sui trasferimenti, cioè soldi, che da questo arrivano: quasi 100 miliardi l’anno – scrive il Corriere della Sera.
E se è vero che nel 2013 le entrate correnti dell’Inps sono salite a 312 miliardi e crescono dal 2010, non basta questo a garantire il futuro perché l’incremento non è dovuto ai maggiori contributi versati da chi dovrà avere la pensione (che scendono nel 2013 a 209 miliardi, dai 210 del 2012), bensì proprio ai maggiori trasferimenti pubblici che sono aumentati a 98,4 miliardi (quasi 100, appunto) dagli 84 del 2010.
Le spese correnti sono cresciute nello stesso periodo a 322,2 miliardi: 40%, 91 miliardi in quattro anni. Anche qui, effetto Inpdap: nel solo 2011-2012 sono infatti salite di 78 miliardi. Uscite che sono composte da tre voci principali. Primo, le pensioni: la fetta maggiore, salite nel 2013 a 266,9 miliardi di euro, il doppio del 2010. Secondo, le prestazioni economiche temporanee. Sono i soldi spesi per malattia, maternità, Tfr pubblici: 36,3 miliardi. Terzo, i cosiddetti altri interventi, tra cui le pensioni sociali: 15,8 miliardi.
Se non si vuole per il futuro mettere di nuovo mano alle pensioni, o chiedere un nuovo contributo ai lavoratori, un’unica possibilità: diminuire le uscite, e farlo lavorando sulle seconde due voci di spesa e non sulla prima. Oppure, come suggerisce Caselli: “L’Inps ha una banca dati eccezionale, potrebbe usarla per vendere prodotti correlati, come assicurazioni sulla vita, costituendo un intermediario finanziario”.
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