ROMA – Porterà nella casse pubbliche circa 800 milioni di euro. La maggior parte di questi, circa 700 milioni, frutto dell’effetto deterrente e i restanti 100 figli dei controlli. Controlli che saranno, ad onor del vero, poco più di una goccia nell’oceano se è vero che riguarderanno meno di 40 mila contribuenti su un monte di 40 milioni di italiani che pagano o dovrebbero pagare le tasse, lo 0,1 per cento. Sono i numeri del redditometro, spauracchio fiscale per milioni di contribuenti e oggetto degli strali di molti attori della campagna elettorale.
Uno spauracchio, un uomo nero buono in realtà a spaventare solo e soltanto una platea di contribuenti particolarmente paurosi e, occorre dirlo, provati. Redditometro rozzo e a rischio di risultare ottuso e arbitrario nei suoi parametri. Ma anche redditometro assai spuntato con il suo 20% di tolleranza se le tue spese presunte sono maggiori del tuo reddito dichiarato. Redditometro, va detto anche questo, che se non funziona rischio di torturare qualcuno che le tasse le paga. E se funziona si accende e scova uno che dichiara 15mila euro annui e si compra tre macchine e due appartamenti, ci sono eccome. In ogni caso saranno pochi, dell’una e dell’altra “razza”, appunto neanche 40mila su 40 milioni di contribuenti.
Redditometro rimasto orfano, sconfessato e criticato da Mario Monti e Silvio Berlusconi i due che in due fasi l’hanno creato, e redditometro che appena nato già è bollato come sbagliato, inefficace, miope, nel migliore dei casi utile ma imperfetto. Accomunato al destino di tutte le misure che nel nostro Paese il problema evasione hanno provato ad affrontare e che, appena nate, sono state immediatamente bollate come zoppe, monche, storte o comunque inadatte e da superare.
Il tanto vituperato redditometro porta la firma dell’attuale ministro dell’Economia Vittorio Grilli ma è frutto di una norma varata dal precedente governo guidato da Silvio Berlusconi. Facilmente identificabili quindi i genitori di questo strumento ma genitori che, al momento della nascita, avvenuta sfortunatamente in periodo di campagna elettorale, hanno scelto di non riconoscere la loro creatura. “E’ una misura introdotta da chi ci ha preceduto e che ha punteggiato come una bomba ad orologeria la strada del mio governo, fosse stato per me non credo l’avrei messo” ha dichiarato Monti. Eppure lui l’ha messo. “Monti ha dato la colpa a noi del redditometro (perché evidentemente tentare di combattere l’evasione è una colpa), ma non era quello che abbiamo messo noi, è completamente diverso”, gli ha risposto il Cavaliere.
Figlio di ‘NN’ quindi il redditometro, come figlie di nessuno sono tutte le riforme varate, da Giolitti in poi, e forse anche prima, nel nostro Paese per tentare di arginare il fenomeno evasione. Destino infelice toccato all’inizio degli anni ’90 alla “minimum tax” imposta ai lavoratori autonomi bollata come ingiusta e miope dopo esser stata introdotta perché molti, tra i lavoratori autonomi, dichiaravano meno di uno operatore ecologico. E destino toccato anche agli studi di settore sponsorizzati, tra gli altri, da un certo Giulio Tremonti. Studi che dovevano correggere la minimum tax ma che ne hanno invece condiviso al sorte. Meglio guardare i consumi che scervellarsi su quanto rende o dovrebbe rendere una data attività si disse, e quindi inversione di approccio e varo del redditometro ma, nonostante il cambio sostanziale di strategia, stesso destino anche per questa misura che comunque non funziona.
Ma ha origini assai più antiche, se non il redditometro, almeno il concetto di controllare la congruità tra quanto dichiarato e tenore di vita che si sostiene. Era il 1932 quando un regio decreto introdusse il concetto stabilendo che nel calcolo delle imposte si poteva tener conto di “circostanze ed elementi di fatto, con speciale riguardo al tenore di vita dei contribuenti”. Da allora almeno due ministri che rispondono al nome di Emilio Colombo e Giovanni Goria sono tornati sul tema consumi come cartina tornasole per stabilire il reddito. Ma dal fascismo in poi sembra che il redditometro non riesca a trovar padre, annunciato, trattato e riformato da molti ma rinnegato da tutti perché imperfetto e inadatto come tutti gli strumenti che il nostro Paese ha prodotto per combattere l’evasione.
Difficile credere che siano sempre gli strumenti ad essere sbagliati, certo possono essere migliorati, raffinati, indirizzati meglio e così via. Ma è alquanto incredibile ritenere che la colpa di un’operazione andata male sia sempre del bisturi che non funziona, qualche colpa l’avranno anche i medici e, forse, persino il paziente che magari non vuole essere curato. Gli imperfetti sono in verità proprio gli italiani perché, come scrive La Stampa, “tra le libertà economiche non c’è quella di essere disonesti”. Concetto difficile se non impossibile da inculcare a molti dei contribuenti italiani e concetto che ha reso orfane praticamente tutte le misure che il problema hanno cercato di attaccare. Non se ne abbia il redditometro, è sì rimasto orfano, ma ha moltissimi fratelli e sorelle su cui contare.