TERNI – A voler spegnere le acciaierie di Terni la Thyssen arriva seconda, in principio fu l’Europa. Non di un freddo e spietato amministratore delegato la responsabilità prima delle 537 lettere di licenziamento, ma in origine un altrettanto freddo e probabilmente più miope burocrate di Bruxelles. Anzi ThyssenKrupp qualcosa di minimo sta cedendo sul numero degli esuberi, sul numero di chi perderà il posto nella Ast, Acciai speciali Terni. Non cede Thyssen, e non si vede come possa farlo, su quello che è stato imposto e ordinato dall’Antitrust europeo: riprendersi la fabbrica dopo averla venduta.
ThyssenKrupp la Ast l’ha ripresa di malavoglia e ora tenta di ridurne dimensioni e produzioni e costi per poterla rivendere magari ad un acquirente non europeo. Non europeo perché Ast era già stata venduta e volentieri acquistata in Europa. Solo che l’Antitrust europeo disse: no, non va bene, i nuovi proprietari fanno con Ast “posizione dominante” nell’acciaio. Così l’Antitrust europeo, il “burocrate di Bruxelles” ha palleggiato di qua e di là uno stabilimento all’avanguardia tecnologica e in grado di produrre profitti fino a sgonfiarlo e a renderlo fonte di disoccupazione e crisi aziendale.
Non tanto e non solo sui vertici della multinazionale deve quindi premere il governo italiano per una soluzione della vertenza, ma sulla Commissione Europea e sulle regole di questa. Su quell’immaginario ma al tempo stesso concretissimo “burocrate di Bruxelles” che Renzi ha indicato come la figura-tipo che “farebbe diventare euroscettico anche De Gasperi e Adenauer”. Un compito apparentemente che il premier Renzi si è già quasi assegnato, a parole. Renzi che almeno parte del suo consenso e del suo appeal deve proprio al nuovo atteggiamento che ha portato in Europa. Un atteggiamento fatto non solo di obbedienza ai rigidi parametri continentali, ma anche di asserita volontà di ridiscussione di una cultura “burocratica” dell’Unione Europea. Bene, sulla Ast Renzi dimostri che può e sa dare una sveglia al sonno del burocrate europeo.
E’ molto poco raccontato ma, come racconta sull’Huffington Post Giovanni Dozzini, “Nel gennaio scorso (le acciaierie) sono tornate nelle mani della Thyssen Krupp dopo il discusso intervento dell’Antitrust europeo. La Outokumpu, multinazionale finlandese che le aveva rilevate proprio dai tedeschi due anni prima, aveva in mano già troppe attività produttive nel settore dell’inox. Posizione dominante nel mercato continentale, insomma. Quindi la Thyssen si è ripresa il sito umbro, che però non rientra più nei suoi piani”.
La storia poco nota delle Ast e dei suoi dipendenti è quindi, riassunta, la seguente. Lo stabilimento umbro rappresenta un’eccellenza per l’acciaio. “Qua si lavora un acciaio speciale di grande qualità – dice Mario Bravi, segretario della Cgil Umbria -. Rispetto a Taranto e Piombino, altri casi evocati in questi giorni, con tutto il rispetto non c’è paragone”. Così, vista la specificità e la qualità dello stabilimento in questione un’azienda finlandese decide di acquisirlo. Ed è ragionevole credere che in Umbria i finlandesi avrebbero investito e comunque fatto lavorare lo stabilimento ma l’Antitrust europeo interviene: se i finlandesi prendono l’acciaio umbro acquisiscono una “posizione dominante” sul mercato europeo. E così Bruxelles, il famigerato burocrate continentale, decide che l’Ast deve tornare alla Thyssen. L’affare con i finlandesi non si può fare. Peccato che la Thyssen di Terni non sappia che farsene.
“Si paga il prezzo di regole europee non più al passo con i tempi – scrive Dario Di Vico sul Corriere della Seta -. In uno scenario di business ormai contrassegnato dall’ascesa delle potenze siderurgiche asiatiche, l’Antitrust di Bruxelles ha impedito la vendita dello stabilimento ai finlandesi dell’Outokumpu per evitare che assumessero una posizione dominante e così la fabbrica umbra è tornata a far parte del gruppo Thyssen che la considera residuale”.
Una parte della storia questa forse poco nota al grande pubblico ma certo conosciuta dal governo e da Renzi. Quello stesso Renzi che, direi giustamente, non si stanca mai di ripetere che “in Europa c’è troppa burocrazia”, arrivando anche a dire, come battuta, che persino “De Gasperi ed Adenauer sarebbero diventati euroscettici vedendo i cavilli e la burocrazia che invade le riunioni europee”.
Ma se quelle del premier non sono solo parole vuote per attirare ed intercettare il consenso di quelli che, pur europeisti, sentono ormai la necessità di un cambiamento delle politiche di Bruxelles, dall’austerità in giù, allora a queste devono seguire anche degli interventi.
Il governo Renzi si è sempre vantato di rispettare i vincoli imposti rivendicando che, anche in virtù di questo disciplinato comportamento, vuole però ridiscutere. In Parlamento Renzi ha praticamente magnificato l’avvento della presidenza Junker come un segno di discontinuità e anzi come l’avvio di una nuova stagione europea.
Non solo però le regole di bilancio imposte dall’Europa sono importanti e da ridiscutere. Ma anche quelle che di fatto impongono 500 e più licenziamenti in virtù di una concorrenza tutta interna all’Europa che appare quasi risibile mentre, al di fuori dei confini continentali, il mercato dell’acciaio è ormai dominato dai colossi asiatici.
Come documenta Paolo Bricco sul Sole 24 ore esiste domanda di acciaio sia a livello mondiale che europeo. Quindi la Ast ha potenziale mercato e potenziali commesse. Quini non ci sarebbe bisogno di licenziare, non è una fabbrica morta, non è insomma un’altra Alcoa italiana. Ast ha inoltre ottimi asset tecnologici, è una fabbrica viva e produttivamente in salute. Non c’è ragione di mercato perché licenzi o peggio, solo la ottusa e ragion burocratica secondo la quale non si può concentrare la produzione più di tanto in Europa mentre indiani cinesi e russi assemblano colossi produttivi sul pianeta. Il burocrate di Bruxelles, per dirla con la radio del Sole 24 ore, “lucida gli ottoni del Titanic”. C’è qualcuno in qualche governo capace di dargli uno scrollone e svegliarlo dall’ipnosi?
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