ROMA – “Io rispetto molto il Presidente Grasso, credo che sia assolutamente un Presidente di garanzia ma credo anche che essendo stato eletto nel Partito Democratico e conoscendo fino in fondo quelle che sono le scelte del partito democratico, be’ penso che ne debba accettare anche la indicazioni”. In queste affermazioni sta la concezione dello Stato e il rispetto delle istituzioni che ispirano il Partito Democratico, come sintetizzate da un suo esponente di spicco, il presidente del Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani, vice segretario del partito.
C’è una intrinseca contraddizione tra il proclamato rispetto per il presidente del Senato, il riconoscimento del suo ruolo di garanzia in quanto eletto al vertice di quella Camera, che un tempo si definiva “alta”, il suo essere la “seconda carica dello Stato” (“Le funzioni del Presidente della Repubblica, in ogni caso che egli non possa adempierle, sono esercitate dal Presidente del Senato”, art. 86 della Costituzione), ed il richiamo duro alla circostanza che essendo stato eletto nelle liste del Partito Democratico ne debba accettare le indicazioni, cioè la proposta di riforma del Senato targata Renzi-Boschi.
Devo dire che le cronache parlamentari ricordano rari esempi di una simile interpretazione del ruolo istituzionale del presidente del Senato nel momento in cui presiede l’assemblea di Palazzo Madama e garantisce il corretto svolgimento dei lavori. L’affermazione della Serracchiani potrebbe passare anche in secondo piano se essa non avesse un ruolo di rilievo nel suo partito, perché quelle parole dimostrano una concezione dello Stato e delle istituzioni che più volte abbiamo sentito nelle parole del Presidente del Consiglio quando, nella direzione del partito del 21 settembre, si è in qualche modo lamentato di non avere il potere di convocare le Camere.
La democrazia liberale, quella che è nata dalla Rivoluzione Francese, che nel corso dell’Ottocento e del Novecento ha avuto un’evoluzione che costantemente ha confermato il ruolo di neutralità e garanzia delle istituzioni dello Stato, dal presidente della Repubblica ai presidenti delle Camere, alla magistratura, alla Corte costituzionale, viene messa in discussione quando si fanno affermazioni del genere che abbiamo riportato, nelle quali si ritiene che l’esercizio del ruolo di garanzia del presidente di una camera debba essere condizionato dalla sua appartenenza al partito che lo ha fatto eleggere.
La battuta della Serracchiani, come altre analoghe di esponenti di spicco delPartito Democratico, a cominciare da alcune esternazioni del Presidente del consiglio e segretario del partito, dal sapore inequivocabilmente autoritario, passeranno certamente inosservate nell’opinione pubblica generale ma sono segnali di fastidio per le regole della democrazia, per il dibattito parlamentare e per il confronto tra i partiti che costituiscono il sale della democrazia. Una battuta del genere sarebbe inconcepibile in ogni altro paese dell’Europa democratica, per cui è un segnale che le forze politiche e la gente dovranno cogliere perché è da queste affermazioni e dal comportamento conseguente che si individuano tratti essenziali di una concezione politica che tende a mettere sotto scacco ed a condizionare le istituzioni democratiche e gli istituti di garanzia che caratterizzano il nostro impianto costituzionale.
La politica in generale ci ha abituato ad interventi normativi che hanno via via limitato i poteri delle istituzioni dello Stato incidendo ora su questo ora su quell’aspetto del funzionamento delle istituzioni, piccoli colpi alle regole che a volte passano inosservati, che non determinano nell’immediato reazioni forti ma che mettono punti fermi su una concezione privatistica dello Stato che non ci appartiene e della quale dobbiamo aver paura.
Gli italiani devono ribellarsi a questo modo di intendere il funzionamento dello Stato, presto, ad evitare che il degrado e l’appropriazione delle istituzioni da parte dei partiti, la “partitocrazia” che denunciava cinquant’anni fa Giuseppe Maranini, arrivi a livelli tali che per fermarlo ci sia bisogno di una ribellione forte che potrebbe sembrare autoritaria, se autoritaria non fosse l’azione politica che è necessario contrastare.