Michele Serra difende Beppe Grillo e la sua “ferocia contro i media” in un articolo su Repubblica in cui, al tempo stesso, non si risparmia alcune punte di crudeltà: in fondo gli intellettuali, per quanto guadagnino bene e siano di sinistra, non si capacitano del fatto che un non intellettuale, nel caso specifico un attore, abbiano più successo e guadagnino più di loro. Questa amara scoperta è alla base di molte delle azioni del Governo di Mario Monti che hanno fatto precipitare l’Italia definitivamente nel baratro.
Non è una storia nuova: Nerone cadde in disgrazia presso l’establishment romano perché voleva fare l’attore; Edward de Vere, duca di Oxford, si vergognava tanto persino di avere scritto dei capolavori per il teatro che preferì lasciarne la gloria imperitura a un attore avido e abbastanza ignorante di nome William Shakespeare.
Oggi fare l’autore è diventato un mestiere nobile, che però certo non rende, in popolarità e soldi, come quello di attore. Se poi l’attore, per di più comico, un clown come ha detto un politico tedesco, è anche un leader politico, squassando credi e convinzioni decennali ancorché un po’ in erosione, è bene metterlo subito al suo posto.
Questo spiega l’attacco dell’articolo di Michele Serra:
““L’unico giornale del quale mi fido è la Settimana Enigmistica”. Sono parole di Beppe Grillo. Me le ricordo bene anche perché le ho scritte io”.
Come dire: Grillo è solo una faccia, un urlo, la testa è altrove: Gianroberto Casaleggio oggi, tanti di noi ieri. Serra, che scrive su Repubblica a è anche autore di libri e di televisione (vedasi ultimo Festival di Sanremo), ricorda:
“Era l’autunno del 1990, lo spettacolo si chiamava “Buone notizie”, la regia era di Giorgio Gaber. Come è facile immaginare, quelle parole mi sono tornate in mente molte volte, mano a mano che la figura di Giuseppe Piero Grillo detto Beppe, nato a Genova nel luglio del 1948, trasmutava dal comico al rivoluzionario”.
Non che Michele Serra debba cercare credenziali come quei tanti vip che si sono buttati e si butteranno nelle braccia di Beppe Grillo. Però è bene mettere i puntini sulle i e rivendicare una primogenitura ideologica, just for the record, perbacco, almeno il copuright, anche se questo è l’amaro destino degli autori:
“Quel “non mi fido” che Beppe traduceva, sul palco, nello sbeffeggiamento della presunzione e dell’invadenza mediatica, mi sembra uno dei germi più importanti della storia in atto, e più esplicativi di quanto sta accadendo. Con uno slogan, forse con una battuta: la crisi della rappresentanza è anche una crisi della rappresentazione”.
Un rapido accostamento di Beppe Grillo al mitico e non ancora abbastanza revisionato ’68 e poi altra bottarella:
“Era, quello di Grillo nel ’90, un paradosso satirico. Ed è, questo di oggi, un paradosso politico: si fugge di fronte alle telecamere, ci si nega ai giorna-listi, non perché si ignori il valore della libertà di parola e della libertà di informazione”.
Ma, ricorda Michele Serra a scusante di Beppe Grillo, lo faceva anche Enrico Cuccia, uno degli architetti della finanza italiana nei primi 50 anni della Repubblica.
“Leviamo dal campo ogni possibile equivoco sulla “libertà di stampa”. E cioè: alle frequenti sbavature paranoiche di Grillo contro i giornalisti, evitiamo di contrapporre paranoie di senso contrario. Chiunque, anche il più devoto frequentatore del blog-tempio di Grillo, se una mattina di queste in edicola davvero trovasse soltanto la Settimana Enigmistica; o vedesse azzerati i palinsesti delle reti televisive; ne dedurrebbe che è tempo di fare i bagagli o entrare in clandestinità, perché il Paese è sotto dittatura, ha perduto le sue voci e dunque la sua libertà”.
Michele Serra rivendica il diritto, di Beppe Grillo come di Cuccia
“a non sottostare alla regola (orribile e dilagante) secondo la quale qualunque telecamera e qualunque microfono, in qualunque luogo, hanno il diritto assoluto di ottenere una risposta immediata. Magari su questioni complicate, spinose, che richiederebbero tempo e freddezza per essere non dico risolte, ma anche solo accennate; e non possono essere liquidate in una battuta, o nel dileggio stupido e feroce di chi non risponde, e non per reticenza, ma per dignità.
“La televisione degli ultimi vent’anni è in parte fondata su quel malinteso giornalismo “d’assalto”, che traduce in uno show da quattro soldi l’ansia del pubblico di sapere che cosa viene nascosto e taciuto”.
Un po’ di confusione di identità traspare, forse per i vari ruoli di Serra, che poi elabora:
“Il diritto di essere informati, e di informare, è una cosa troppo seria, troppo nevralgica per assecondare l’urto polemico di Grillo, e rispondergli sullo stesso piano che – in questo momento – è quello della pura propaganda. A ciascuno il suo: così come “ai politici”, anche “ai giornalisti” viene richiesta una riflessione profonda, se è vero, come è vero, che ci siamo ritrovati più o meno tutti dentro uno scenario imprevisto, pur essendo deputati per mestiere, noi per primi, a prevederlo”.
Ragazzi, un po’ di sano ritorno al realismo socialista: anche Stalin (meno rozzo di Mussolini e Hitler che reprimevano senza spiegazioni) motivò così l’ esecuzione di Isaak Babel.
Però tranquilli:
“La libertà di stampa non è in pericolo”
e nell’ entusiasmo per Beppe Grillo che sta prendendo un po’ tanti a sinistra, preferisce non vedere i pericoli che le idee e soprattutto la derivata politica di Beppe Grillo rappresentano per noi: Ed ecco la giaculatoria che ti salva l’anima, la libertà di stampa in pericolo
“lo è stata molto di più sotto Berlusconi”.
Fa il paio con quelli che sono andati fino a Oxford, a spiegare che in Italia non c’è libertà di stampa agli inglesi, che non possono nemmeno pubblicare la foto di una principessa in bikini.
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