ROMA – Le vendite dei giornali non sono mai state così basse, fanno paura i dati relativi a luglio 2015 diffusi da Ads (Accertamento diffusione stampa), l’istituto preposto a certificare le vendite della stampa stampata. C’è poco da dire. Col prezzo che va da 1,20 a 1,50 euro, il numero di persone disponibili a spendere quella cifra per giornali non sempre rispondenti agli interessi di chi li dovrebbe comprare non può che calare e calare.
I numeri di Ads si prestano a molte letture, perché nei grandi totali includono le copie regalate, quelle vendute a peso e quelle digitali.
Editori e direttori si vantano delle vendite digitali, cioè delle copie del giornale di carta trasferite pari pari on line, da non confondere con le letture dei siti che sono gratuiti. Qualcosa però non torna, perché a compensare il calo delle copie vendute in edicola dovrebbero bastare (e non bastano) l’aumento dei prezzi e la crescita delle copie digitali. Ma queste ultime sono in calo, segno che il giornale trasferito pari pari on line non piace e per tante ragioni, dalla difficile lettura all’ancor più difficile sfoglio.
Per noi contano soltanto le copie vendute in edicola, perché sono le uniche veramente comprate, ogni giorno, con l’atto deliberato, volontario, di tirar fuori di tasca un euro e mezzo per volta. Le copie digitali valgono pochissimo in termini di conto economico, perché le vendite in blocco a prezzi stracciatissimi servono a solleticare l’orgoglio e la vanità dei direttori ma non portano lettori.
Le copie digitali valgono ancor meno in termini di fruibilità, perché tranne Repubblica i quotidiani non sono stati ancora capaci di produrre sistemi a portata di essere umano e valgono ancor meno in termini di pubblicità, perché la pubblicità si vede poco o male. La superficie di un annuncio nella versione web è la sedicesima parte dell’annuncio su un quotidiano tabloid (Repubblica, Corriere, Stampa). L’inserzionista sa bene che paga solo per la forza dell’immagine della carta stampata.
I dati Ads escono puntuali da mezzo secolo, mese dopo mese. Saranno aggiustati, rabberciati, ma sono il dato più certo di tutti quelli in giro, di tutte le audipress, audiweb e auditel del mondo. Ne abbiamo riportato parecchie puntate nei mesi passati ma questa volta abbiamo aggiunto alla colonna del mese in esame una seconda colonna, quella dello stesso mese di cinque anni fa, il 2010. E una terza colonna con un numero indice: che percentuale delle copie del 2010 sono quelle vendute nel luglio del 2015? C’è anche una quinta colonna, quella del 2000. Ma non abbiamo avuto il coraggio di calcolare le percentuali.
C’è da dire che le cifre relative al 2000 dei giornali nazionali possono essere un po’ esaltate da politiche di marketing miranti a massimizzare la lettura. La pubblicità tirava e i lettori acquisiti in più rendevano più del costo per acquisirli. Già nel 2000, finita la bolla di fine anni ’90, era sempre meno vero e Repubblica aveva iniziato a tirare i remi in barca, mentre al Corriere della Sera, con sprezzo del pericolo e del conto economico, continuavano a sostenere il celodurismo degli azionisti e del direttore.
Per il campione, abbiamo preso alcuni giornali, nazionali e locali e questo è il quadro, desolante per i giornali nazionali e confortante per quelli locali. Eccolo:
Testata | Vendite edicola Luglio 2015 | Luglio 2010 | % copie “conservate” | Luglio 2000 |
Corriere della Sera | 244 mila | 374 mila | 65% | 614 mila |
Repubblica | 248 | 401 | 62% | 566 |
Stampa | 156 | 229 | 68% | 360 |
Sole 24 Ore | 91 | 140 | 65% | 398 |
Adige | 15 | 18 | 83% | 25 |
Alto Adige, Trentino, Alpi | 19 | 27 | 70% | 38 |
Arena | 28 | 37 | 76% | 50 |
Gazzetta di Parma | 25 | 30 | 83% | 44 |
Gazzettino | 56,5 | 74 | 76% | 136 |
Libertà | 26 | 39 | 67% | 32 |
Mattino Napoli | 43 | 67 | 64% | 105 |
Mattino Padova | 21 | 29 | 72% | 29 |
Messaggero Roma | 121 | 178 | 68% | 284 |
Messaggero Veneto | 42 | 46 | 86% | 53 |
Nazione | 86 | 108 | 80% | 153 |
Nuova Sardegna | 41 | 57 | 72% | 62 |
Piccolo | 24 | 34 | 71% | 46 |
Resto del Carlino | 111 | 134 | 82% | 186 |
Secolo XIX | 48 | 77 | 62% | 117 |
Tirreno | 49 | 76 | 64% | 89 |
Il prezzo, da 1 euro e 20 fino a un euro e mezzo, non favorisce certo le vendite. C’è chi sostiene che qundo il prezzo dei giornali si disallinea da quello della tazzina di caffé, per le diffusioni sono guai. Un caffé al banco in gran parte d’Italia costa un euro e anche meno. Più furbi i baristi degli editori? Forse, ma non hanno registrato certo un crollo dei loro ricavi come quello della pubblicità, che ha portato gli editori a vedere come unica via d’uscita l’aumento del prezzo di copertina.
Viene spontanea una provocazione: fare giornali con la metà delle pagine, una grafica più sobria con più contenuti per pagina e un prezzo coerente forse potrebbero aiutare a invertire la tendenza.
Un riscontro alla teoria dell’impatto del prezzo lo si può cercare nei conti di Repubblica. Lo stesso studio non è stato possibile per il Corriere della Sera, perché i conti sono annegati in quella di una divisione Media Italia con Gazzetta dello Sport e un bel po’ di riviste. Ma c’è da credere che non si andrebbe molto distante.
Partiamo dai conti di Repubblica relativi al primo semestre del 2015 a confronto col 2014. Se leggo bene e non ho sbagliato i calcoli, nel primo semestre 2014 il prezzo di Repubblica era di 1,3 euro; nel primo semestre 2015 era di 1,4 euro, un aumento del 7.7%.
La differenza fra giornali nazionali e locali (tranne eccezioni cui si potrebbe dare una spiegazione) è in molti casi molto sensibile e si può spiegare
– col fatto che i giornali locali hanno dei siti internet molto modesti rispetto a quelli rutilanti dei grandi giornali e molto poco aggiornati, il che li mette al riparo dalla concorrenza interna sul fronte delle notizie;
– i giornali locali operano in mercati semi protetti, mentre quelli nazionali competono con tv e gli altri nazionali, con gli stessi locali e con la fungaia di siti internet nazionali e internazionali che attinge alle stesse fonti di tutti, le agenzie di stampa, i siti dei giornali stranieri, i loro stessi siti. Teniamo sempre presente che non più del 70% (e siamo generosi) dei contenuti dei quotidiani nazionali è originale; ancor minore è la quota del materiale esclusivo: un po’ di politica (interviste che interessano solo all’intervistatore), un po’ di cultura (peggio mi sento), le esclusive di cronaca locale (pochissime e di poco interesse). Le vere notizie: morti, stragi, arresti condanne, violenze ecc. sono di dominio pubblico e non possono essere ricondotte alla protezione del copyright.
– i giornali regionali hanno pagato caro in termini di copie
il declino di un modello più debole rispetto a quello del giornale provinciale perché l’unità geografica vera italiana è la provincia e le regioni sono solo una espressione politica;
il risanamento dei conti col taglio delle edizioni marginali,
la concorrenza dei quotidiani gratuiti (free press) nelle fasce più deboli della popolazione sulle piazze di Milano (dove il Corriere funge da giornale locale) e Roma
la concorrenza delle edizioni di Repubblica e Corriere a Napoli e Bari (solo un incauto direttore del Mattino ebbe il becco di dire che l’edizione del Corriere della Sera avrebbe aiutato il Mattino a spezzare le reni a Repubbica), cosa che non credo sia avvenuta a Palermo.
quanto le mutate condizioni del mercato abbiano influito sule vendite trova un riscontro almeno parziale nel quotidiano Dolomiten, in lingua tedesca, che si pubblica a Bolzano. Dal 2000 a oggi le sue copie sono aumentate. D’altra parte è l’unico quotidiano in lingua tedesca, fatto da sudtirolesi che pensano in tedesco e danno voce agli interessi alla comunità di lingua tedesca. Hanno trattenuto le copie accentuando un fenomeno possibile solo da quelle parti, quello degli abbonamenti. Le poste funzionano, i giornali arrivano puntuali. Non sappiamo quale sia il prezzo degli abbonamenti né il costo del servizio postale in una provincia inondata di nostri soldi come Bolzano. Tutto questo rende impossibile lo sviluppo degli abbonamenti nelle altre testate, tranne il quotidiano dei Vescovi, Avvenire. Ma lì, probabilmente, oltre alla peculiarità e unicità della linea, vale anche la rete delle parrocchie e lo special delivery dello Spirito Santo.
Un riscontro del progressivo arretramento, anche se in misure differenti da testata a testata, viene dai dati di lettura rilevati da Audipress, l’istituto che rileva, in modo più o meno affidabile, il numero dei lettori dei giornali. Riproponiamo parte del campione di sopra, mettendo a confronto i lettori rilevati nel 2015 e nel 2010, con una avvertenza: il lettori calano meno delle copie perché
– le cifre relative alle copie vendute sono una media; pochi comprano il giornale tutti i giorni, i più comprano fra le 4 e le 2 volte alla settimana e c’è da scommettere che con l’ultimo aumento del prezzo la frequenza si sia spostata più sulle due volte che sulle 4; se un giornale vende 100 mila copie, la sua massa di acquirenti sarà, probabilmente, intorno alle 350 mila persone;
– i lettori sono tutti quelli che dichiarano di leggere un giornale: se avete un’idea di come sono fatti i sondaggi, la distinzione degli statistici fra giorno medio e altre categorie dello spirito si fa ardua. Resta il dato buono; che ci sono 19 milioni di italiani che in qualche modo leggono un giornale – i più a scrocco – ma lo leggono.
Popolazione totale adulti | 52,9 milioni | 52,2 milioni |
Lettori totali di quotidiani | 19 milioni | 21 milioni |
Letture | 29 milioni | 40 milioni |
Testata | Lettori 2015 | 2010 | % lettori conservati |
Corriere della Sera | 2.530.000 | 2.870.000 | 88% |
Repubblica | 2.493.000 | 3.209.000 | 78% |
Stampa | 1.280.000 | 1.693.000 | 76% |
Sole 24 Ore | 889.000 | 1.032.000 | 86% |
Messaggero Roma | 1.175.000 | 1.293.000 | |
Messaggero Veneto | 301.000 | 305.000 | |
Mattino Napoli | 728.000 | 784.000 | |
Tirreno | 530.000 | 603.000 | |
Libertà | 120.000 | 164.000 |