ROMA – I Venticinque lettori della rubrica (chissà se per sbaglio qualcuno dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni fa parte del circolo) non se ne abbiano a male. Si tornerà di nuovo sulla par condicio. Tuttavia, si plachino i malumori e gli sbadigli. Sarà probabilmente l’ultima volta, in quanto la legge n.28 del 2000 è stata abrogata di fatto.
Senza neppure il civile coraggio di proporne nelle aule parlamentari la formale cancellazione. L’abrogazione è ormai evidente. Intanto, per una ragione di fondo, che pare sfuggire ai pur numerosi critici del testo. Nel periodo conclusivo –e solo in quello, ovviamente- della contesa elettorale (un mese all’incirca) la politica si dovrebbe calare in contenitori definiti: tribune, dibattiti, tavole rotonde, presentazione dei programmi, interviste o ogni altra forma che permetta il confronto tra le posizioni e i candidati in competizione. Con l’avvertenza di collegare il tutto alle testate.
Questo per rendere praticabili le pari opportunità tra i diversi soggetti. Negli spazi informativi canonici, la presenza di dirigenti politici o candidati va strettamente connessa alla notiziabilità di ciò che dicono o fanno. Al contrario, avviene che la par condicio sia concentrata proprio nei notiziari o nei format tradizionalmente collegati, con microfoni offerti a prescindere dai contenuti, per far assaporare una parvenza di rispetto della legge.
L’improvvisata messa in scena, però, crolla ad una semplice rilettura della legge (daje…, come va di moda dire a Roma). Perché i beneficiari dell’applicazione all’amatriciana sono quattro: Renzi, il partito democratico, Forza Italia e 5Stelle. Per il resto dei maratoneti c’è qualche briciola residuale. Esattamente il contrario dello spirito della legge, che voleva offrire la stessa chance a tutti, per dare un contributo effettivo alla libera scelta dei cittadini. Senza avere la dovuta contezza di simboli e progetti, le elezioni non sono credibili.
I dati raccolti da Gianni Betto per il “Centro d’Ascolto dell’Informazione Radiotelevisiva” sono chiari e spietati, essendo analizzato l’ascolto potenziale e non la sola percentuale di notizia o di parola. Nel mese di aprile, 334 milioni hanno potuto ascoltare il governo e ben 271 Forza Italia. Quest’ultima –nel cui scrigno numerico si cela anche la spettacolare performance di Silvio Berlusconi, sul quale sommessamente si vorrebbe capire …- è ben superiore alla consistenza anche più ottimistica della rappresentanza che esprime.
Vengono in soccorso gli stessi spunti che si evincono dalle tabelle pubblicate sul sito dell’Agcom, curate da “ Geca Italia”. Il partito berlusconiano tocca un primato nelle location su Mediaset: il 43, 03% del tempo. Ecco un altro materiale da laboratorio sul caso italiano del conflitto di interessi. Il resto, si è detto, è figlio di un dio minore, come la lista “Tsipras”, assolutamente maltrattata; o è persino relegato agli zero virgola, come i Radicali, malgrado l’iniziativa di Marco Pannella.
E’ augurabile che diventi senatore a vita, come da molti si chiede; ma per lo meno si rispetti la sacrosanta battaglia sull’amnistia. Quanto ai “Verdi europei”, si ha la sensazione che neppure siano nell’agenda di chi tira le fila nelle emittenti. Sveglia, signori, la par condicio ha anche il colore verde. Insomma, questa campagna elettorale rischia di entrare negli annali come la prima senza regole. Il far west:e senza sceriffo. Appunto, lo sceriffo prenda le contromisure necessarie. Per la regolarità delle elezioni.
P.S. Nel frattempo si è riunita l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Qualche misura è stata presa. Bene. Però, la vigilanza si rafforzi : perché, a cose finite, sarà inutile.