Lucrezia, la prostituta che emigra in Svizzera: “E’ pericoloso lavorare in Italia, mi hanno aggredita”

Lucrezia, la prostituta che emigra in Svizzera: "E' pericoloso lavorare in Italia, mi hanno aggredita"
Lucrezia, la prostituta che emigra in Svizzera: “E’ pericoloso lavorare in Italia, mi hanno aggredita”

ROMA – A lasciare l’Italia non sono solo i cervelli in fuga, ma tanti giovani a caccia di migliori condizioni lavorative. Tra loro c’è anche Lucrezia, nome di fantasia di una prostituta che ai microfoni di Radio Cusano Campus ha raccontato il perché della sua scelta di emigrare in Svizzera. La donna ha sottolineato che in Italia è stata aggredita, sia in strada che quando lavorava in casa, mentre oltralpe la professione è legale e può continuare a fare questo lavoro in sicurezza.

Proprio l’aspetto di una legalizzazione della professione più antica del mondo ha portato ad un vero e proprio boom migratorio delle prostitute italiane, tanto che il fenomeno ha attirato l’attenzione dei media. Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio, conduttori del programma ECG di Radio Cusano Campus, hanno intervistato una di loro. A parlare è Lucrezia, che vive ed esercita a Roma ma è originaria di Catania:

“Fare questo mestiere in Italia è troppo pericoloso. Parlo proprio di pericolLucrezia, la prostituta che emigra in Svizzera: “E’ pericoloso lavorare in Italia, mi hanno aggredita”o fisico. Non sai mai chi ti capita. Per un periodo sono stata in strada, dopo una decina di giorni è arrivata una ragazza, presumo dell’est, che ha iniziato a minacciarmi e a prendermi a borsettate perché diceva che quel pezzetto di marciapiede era suo e che io lì non potevo lavorare. Che fai? Ti metti a litigare, col rischio che magari quella abbia dietro qualche pappone e che magari poi vai a farti male sul serio?”.

Poi Lucrezia ha iniziato a lavorare in casa promuovendosi su internet: “Dopo quell’episodio per un periodo non ho fatto niente. Mi sono spaventata troppo, fu una cosa che mi mise un sacco di agitazione addosso. Poi ho scelto di affittare un appartamento e di lavorare facendo pubblicità su internet. A parte che i costi sono enormi, anche lavorando in casa non sei mai al sicuro. A tutti quelli che ti chiamano per chiedere informazioni ovviamente devi dare il tuo indirizzo, sperando che poi vengano a casa. E ogni volta che apri la porta hai paura che possa accaderti qualcosa, che davanti a te possa esserci un matto, uno che in realtà vuole rapinarti, uno che non ha i soldi, insomma, può succedere di tutto. In un anno ho subito tre rapine e mi sono ritrovata due volte con un coltello puntato alla gola. Dalla polizia non ci vado, perché mi vergogno”.

Non mancano poi i problemi burocratici, come spiega proprio la giovane:

“Pensavo di cercare una ragazza con cui condividere la casa, un’altra che facesse il mio stesso mestiere, ma il mio avvocato mi ha detto che in quel caso potrei rischiare di passare qualche guaio per sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione, mi ha spiegato che finché in casa lavoro solo io non ci sono problemi, se metto un’altra ragazza a fare il mio stesso mestiere per la legge potrei essere perseguibile. E poi i vicini di casa non mi sopportano, qualcuno è venuto a sapere che la mia è una casa d’appuntamenti e mi hanno già dedicato due riunioni condominiali. Insomma, non ne posso più”.

Da qui la decisione di andare in Svizzera: “Mi ha convinto una ragazza che conosco. Mi ha detto che in Italia si potrebbe guadagnare di più, ma che lì tutti questi problemi non ci sono. Mi metterò in un club, pagherò l’affitto della stanza, ma almeno non rischierò nulla né dal punto di vista fisico né dal punto di vista legale. Lì il mio è un mestiere a tutti gli effetti, starò con altre ragazze,a nessuno verrà in mente di venire a rapinarmi, ai vicini di casa non darò fastidio, non romperò le scatole a nessuno e nessuno potrà romperle a me. La lingua? Mi hanno detto che non è un problema, perché i clienti sono quasi tutti italiani. Io voglio fare questo lavoro cinque anni, mettere da parte più soldi possibile e poi tornare in Sicilia”.

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