Germania, costo del successo: boom di precari, si allarga divario ricchi-poveri

Angela Merkel

BERLINO – Tutti, soprattutto in Europa, invidiano il successo economico della Germania e guardano al Paese come un modello da imitare, ma uno sguardo più attento rivela un quadro molto desolante: sempre più lavoratori precari, paghe misere e un divario ricchi-poveri che va aumentando. I sindacati danno battaglia per chiedere l’innalzamento dei salari e una soglia minima di stipendio per tutti. Il governo, guidato da Angela Merkel, ha aperto alla possibilità di aumentare i salari e produrre deficit ma non basta. Come sottolinea lo Spiegel c’è bisogno di riforme, riforme che non arrivano. E la Merkel stal soffrendo evidentemente proprio questa mancanza di politiche sociali e per il lavoro da parte del suo governo: non è un caso che il suo partito, la Cdu, sia in caduta libera dopo le elezioni del Nord Reno Wesfalia, il land più grande del Paese, dove ha sfiorato il tracollo. Secondo i primi due exit poll, il partito cristiano democratico è rimasto fermo al 26% dei voti.

Secondo un articolo dello Spiegel l’economia tedesca è più in forma che mai: le imprese segnalano profitti record, e le fila dei disoccupati si sono ridotti a soli 3 milioni. Nel mese di marzo, il paese ha avuto un tasso di disoccupazione di appena 7,2%. Il punto però è che solo in pochi traggono vantaggio da questo boom economico , mentre salari stagnanti e condizioni di lavoro precarie stanno rendendo difficile a milioni di persone di arrivare a fine mese. Così, il mondo del lavoro si sta disintegrando. Da un lato manager, specialisti e membri del personale hanno salati alti. D’altra parte ci sono i lavoratori “di riserva”, quelli che non hanno un contratto stabile, sono precari, vengono utilizzati secondo le necessità e poi lasciati andare via grazie a contratti speciali, part-time, temporanei. In molti casi queste persone hanno condizioni di lavoro che non sono in linea con quanto stabilito dai contratti collettivi di lavoro.

Di fatti, sottolinea lo Spiegel, è proprio questo che allarga il divario tra ricchi e poveri in Germania: il dilagare del precariato nel mondo del lavoro. Una situazione nata nel 2003, con la nuova riforma di flessibilizzazione del lavoro, e che a portato oggi ad avere, in Germania, circa 1 milione di lavoratori temporanei. Lavoratori che spesso svolgono le stesse masioni dei propri colleghi a tempo pieno… ma per una paga di molto inferiore. In molti casi, come d’altronde accade in Italia, questi lavoratori non sanno dove lavoreranno la prossima settimana o se saranno in grado di mantenere il proprio posto di lavoro.

Gli esperti individuano questa crescente flessibilità nel mondo del lavoro come il prezzo del successo, un male necessario che ha creato le basi per l’ascesa dell’economia tedesca. Ma i cittadini tedeschi non la pensano alla stessa maniera. E il loro voto, che ha sancito il tracollo della Merkel, lo rende più che evidente. Secondo i sondaggi circa 8 milioni di persone in Germania lavorano per uno stipendio inferiore ai 9.15 euro l’ora, e 1,4 milioni ricevono meno di 5 euro per ora.

Alcune aziende stanno permettendo ai propri dipendenti di beneficiare della ripresa economica attraverso la partecipazione agli utili aziendali. Una politica adottata, ad esempio, dalla Sedus Stoll. Tuttavia, tali condizioni ideali sono rare. La maggior parte dei lavoratori tedeschi non si sente parte di quello che l’Economist ha definito “miracolo economico della Germania.” Per decenni, hanno dovuto accontentarsi di salari reali stagnanti e stipendi in calo. Ora hanno lanciato alla Merkel il proprio messaggio di allarme.

Come sottolinea lo Spiegel, in Germania è in atto un paradosso: in un momento in cui le élite economiche negli Stati Uniti e Gran Bretagna si stanno rivolgendo alle ricette della Germania per il successo industriale, la struttura sociale in Germania si sta muovendo sempre di più nella direzione di una società divisa in tre classi distinte. Un cambiamento fondamentale per un Paese la cui politica sociale è stata a lungo volta ad assicurare che la prosperità del Paese fosse equamente distribuita.

Per spiegare il fenomeno del divario che si sta creando nella società tedesca, lo Spiegel riporta gli esempi di tre lavoratori della Audi: tre storie, tre salari diversi che mettono in evidenza quanto spiegato sopra.

Nadja Klöden, 28 anni, ha studiato gestione aziendale, lavora come assistente di progetto in amministrazione. Ma il suo datore di lavoro è BFFT, un fornitore di servizi che organizza la distribuzione dei ricambi tra le controllate del Gruppo Volkwagen, che includono Audi. Ecco perché Nadja lavora 40 ore a settimana come i suoi parigrado assunti in Audi ma rispetto a loro guadagna 800 euro in meno al mese. In altre parole, anche se contribuisce al successo dell’azienda, non trae da esso un diretto beneficio.

Helen Kozilek si trova in una situazione simile. Ha 26 anni e lavora a tempo pieno sulla linea di montaggio di Audi, ma il suo stipendio non viene pagato dalla casa automobilistica, bensì da Tuja, un’agenzia interinale e filiale del gigante svizzero Adecco. Rispetto a Nadja, tuttavia, Helen può considerarsi una sua superiore. Per ora lei e i suoi colleghi vengono pagati 10 euro all’ora, ma IG Metall, il sindacato tedesco più potente, ha firmato un accordo salariale con Adecco in modo che il salario orario passi a 16 euro l’ora.

Franz Wolff, invece, ha 57 anni e negli ultimi 32 ha lavorato presso la divisione di manutenzione pittura di Audi a Ingolstadt. Wolff lavora 35 ore a settimana e guadagna uno stipendio lordo di 3300 € al mese. Attraverso un accordo aziendale un meccanico qualificato come lui riceve uno stipendio e anche gli utili della società. In questo modo l’Audi gli pagherà quest’anno un bonus di 10mila euro.

Il sindacato si sa muovendo per tentare di risolvere questi dislivelli nel mondo del lavoro ma anche lui ha i suoi interessi e i suoi mergini d’azione. Finora ha già convinto più di 1.200 aziende ad innalzare il salario dei lavoratori temporanei. Ma ciò che è necessario, come sottolinea anche lo Spiegel, non è niente di meno che un cambiamento radicale delle politiche del lavoro. Come si muoverà adesso la Merkel, in cerca di voti che ha perduto?

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