ROMA – La nuova Germania già esiste nei fatti, sarà ancora più cosmopolita e multiculturale ma nello spirito la nazione – lo dice il suo presidente Joachim Gauck – coltiva l’illusione di un paese omogeneo, di razza bianca, cristiano. L’apertura con cui Angela Merkel accoglierà in blocco 800mila rifugiati siriani, le frontiere dissigillate per i centomila di agosto con i profughi che inneggiavano alla cancelliera e alla Germania, rappresenta anche un’oculata scelta di ordine economico.
L’opportunità cioè di svecchiare, ringiovanire la sua demografia e assicurarsi la prosperità economica. Ma, pone una questione che sfida appunto l’opinione culturale prevalente su cosa significhi essere tedeschi. Melissa Eddy sul New York Times sottolinea i termini della sfida: questo sentimento di accoglienza sarà durevole?
Ci sono due precedenti che offrono spunti interessanti e contraddittori. C’è chi ricorda la riunificazione ormai di un quarto di secolo fa: una vera integrazione delle due Germanie è ancora lungi dall’attuarsi e questo nonostante parlassero la stessa lingua. Come si può integrare a comuni valori chi proviene da altre culture, lingua e religione?
Ma il caso dei milioni di lavoratori turchi chiamati in Germania per sostenere la crescita industriale post bellica offre una lezione. Nonostante nel tempo abbiano costituito quello zoccolo di 4 milioni di musulmani sul totale di 82 milioni, persiste l’equivoco iniziale: l’aver considerato quei lavoratori come ospiti occasionali, confidando che, male integrati, ignari della lingua, sarebbero tornati in Turchia.
L’ingente investimento per sostenere l’emergenza, i 6 miliardi totali messi a disposizione da un paese giustamente fiero del suo boom e rigore finanziario, deve essere accompagnato dal riconoscimento dei bisogni materiali e spirituali immediati dei nuovi arrivati così come, in prospettiva, di quello dei discendenti. L’integrazione va sussidiata. C’è bisogno di uno stato degno del nome: che possa accogliere, eventualmente respingere, finalmente integrare.