ROMA – Migranti, sbarchi nei porti più a Nord e comunque non in Sicilia. Perché così una rotta più lunga imposta alle navi delle Ong spezza il cosiddetto “effetto taxi”. E cioè il raccogliere in mare i migranti anche quando non sono in pericolo, dando loro e a chi li sfrutta la sostanziale garanzia che basti prendere il mare per arrivare in Italia. Una rotta più lunga allunga i tempi e rende non impossibili ma difficilissimi gli “appuntamenti” già nelle acque territoriali libiche tra navi e gommoni.
Chiudere i porti siciliani alle navi cariche di migranti delle Ong e dirottarli verso Napoli, Civitavecchia e Genova. Dopo il ‘no’ dei Paesi europei ad aprire i loro porti potrebbe essere questo il prossimo passo del governo italiano sul fronte immigrazione. Dal Nord Europa al Nord Italia dunque, ma a che pro? Innanzitutto per alleggerire il peso che la Sicilia sta sostenendo, secondo poi per mettere in qualche modo pressione all’Europa – chiedendo contestualmente il trasferimento aereo di chi arriva nei vari Paesi europei -, ma soprattutto per scoraggiare quello che in modo abbastanza gretto l’onorevole Di Maio ha semplificato nella parola ‘taxi del mare‘ e che è l’abitudine di molte organizzazioni non governative di ‘salvare’ anche i migranti che in immediato pericolo non sono.
Dopo la sostanziale porta in faccia ricevuta a Tallinn, con la maggior parte dei partner europei pronti a voltare le spalle al nostro Paese chiudendo i porti e minacciando la chiusura delle frontiere, l’Italia sta pensando a come reagire e alle prossime mosse da mettere in campo. Una partita complessa dove da una parte non si può ignorare la richiesta d’aiuto di chi rischia la vita nel tentativo di attraversare il mare e dall’altra, eccezion fatta per le belle parole che puntualmente vengono spese nei consessi internazionali, il nostro Paese è di fatto lasciato solo. Il prossimo appuntamento continentale è il vertice Frontex di Varsavia in programma domani 11 luglio, dove l’Italia potrebbe paventare quella che nei fatti e l’ultima mossa, quella disperata, che ha da giocarsi: vale a dire l’addio alla missione Triton. Vorrebbe dire non partecipare più alla missione internazionale di pattugliamento del Mediterraneo. Un gesto estremo per marcare la distanza dagli altri Stati. Ma soprattutto per sollevare il problema a livello internazionale sperando di aprire così un nuovo negoziato che consenta almeno di completare la relocation dei migranti visto che rispetto ai 20 mila da trasferire in due anni ne abbiamo trasferito meno della metà (7.500). Prima di questa estrema ratio il ministro dell’Interno Minniti è però al lavoro su un altro fronte, quello dell’approvazione del ‘Codice di comportamento’ delle Ong proposto proprio dal titolare del Viminale e che ha ottenuto il via libera dei partner europei. Tra le novità contenute, l’ipotesi di escludere dalla rosa dei porti disponibili per l’attracco delle navi che hanno imbarcato i migranti quelli siciliani. Obbligando le navi delle Organizzazioni non governative che attualmente approdano nello scalo più vicino alla Libia a dirigersi nei porti del nord, ad esempio Livorno, Genova o persino Trieste “per motivi di ordine pubblico”.
“Un modo – spiega Fiorenza Sarzanini sul Corriere della Sera – per scoraggiare la modalità finora utilizzata di prendere a bordo anche i migranti che si trovano su imbarcazioni che non sono in difficoltà e portarli più velocemente in Italia. (…) Sicuramente scoraggerà una serie di comportamenti che finora hanno convinto i responsabili delle Ong a spingersi fino al confine delle acque territoriali libiche e in alcuni casi addirittura a oltrepassarle. Prevede infatti il divieto di trasbordo sulle navi della Guardia Costiera e delle altre autorità, se non in casi eccezionali. E dunque se la nave straniera caricherà i migranti, dovrà occuparsi di portarli fino in porto. E se lo scalo non sarà in Sicilia ma in una regione del nord Italia, vuol dire che la traversata può essere di centinaia di miglia e durare svariati giorni. Con un impegno più gravoso di quello attuale e soprattutto costi molto più elevati”. Nelle intenzioni del ministero dell’Interno, i tempi per l’approvazione dovrebbero essere brevissimi. Entro la fine della prossima settimana le regole dovrebbero essere operative e già il 13 luglio è prevista una riunione tra i vertici della Guardia Costiera e i responsabili delle Ong.
Incontro in cui saranno illustrate le linee guida del provvedimento e soprattutto le sanzioni per chi non rispetta le regole che comprendono il divieto di approdo. Sindaci e governatori delle zone interessate hanno dal canto loro prevedibilmente già fatto presente di non essere d’accordo e sono pronti a mostrare tutto il loro disappunto. Intanto però, a dimostrazione di come le decisioni delle prossime ore potrebbero essere di grande impatto, un sostanziale stop agli arrivi che preoccupa. Di sicuro Tripoli non ha infatti bloccato da un momento all’altro le partenze. Il timore è che sia uno strumento di pressione verso l’Italia – i migranti vengono trattenuti sulle coste libiche per minacciare sbarchi di massa, una strategia di ricatto di gheddafiana memoria – ma anche il segno che i gruppi che in Libia controllano il traffico sui migranti stiano lavorando dietro le quinte per entrare nei lavori del nuovo centro di coordinamento dei salvataggi in Libia (in fase di costituzione, come previsto dal vertice di Tallin).