ROMA, 03 DIC – Olli Rehn ritorna a bacchettare l’Italia su deficit e debito. Intervistato da Andrea Bonanni per Repubblica, il vicepresidente della Commissione europea e commissario Ue per gli affari economici e monetari ha detto che
sul “deficit, l’Italia è in linea, anche se di poco, con il criterio del tre per cento e questo ha consentito al Paese di uscire dalla procedura per deficit eccessivo che è importante per la sua credibilità sui mercati finanziari. Inoltre l’Italia deve rispettare un certo ritmo di riduzione del debito, e non lo sta rispettando”.
Pochi sanno che Rehn, finlandese nato il 31 marzo di 51 anni fa, ha un passato da calciatore. Ma molti conoscono il suo presente: uno che in nome del rigore distribuisce calci a destra e a manca. L’Italia è uno dei suoi bersagli preferiti:
Per centrare gli obiettivi “lo sforzo di aggiustamento strutturale avrebbe dovuto essere pari a mezzo punto del Pil, e invece è solo dello 0,1 per cento. Ed è per questo motivo che l’Italia non ha margini di manovra e non potrà invocare la clausola di flessibilità per gli investimenti”. Rehn evidenzia di avere “preso nota delle buone intenzioni del governo italiano su privatizzazioni e spending review. Ma lo scetticismo è un valore profondamente europeo. E io ho il preciso dovere di restare scettico, fino a prova del contrario. In particolare per quanto riguarda i proventi delle privatizzazioni e i loro effetti sul bilancio del 2014”.
“Le nostre previsioni di febbraio saranno un appuntamento molto importante per l’Italia. Se il governo per quella data ci fornirà risultati concreti e soddisfacenti, ne terremo conto per calcolare i possibili effetti sui margini di manovra a disposizione del Paese”. Tornando ai momenti peggiori della crisi il commissario Ue confessa: “Se io facessi incubi, rivivrei l’angoscia del periodo tra agosto e novembre del 2011, quando l’Italia era al centro della tempesta sui mercati finanziari”.
La ricetta europea del rigore sembra dare frutti in Irlanda e in Spagna, ma non in Grecia o in Italia. Come potete pretendere di curare tutti i malati con la stessa medicina, quando le malattie sono diverse?
«Ma non è così. I programmi adottati per ogni Paese erano e sono cuciti su misura. In Spagna e Irlanda erano focalizzati sul settore bancario e stanno dando risultati. In Grecia sulle riforme strutturali, ma le resistenze corporative ne hanno frenato il cammino. L’Italia, come la Francia e anche la mia Finlandia, ha un problema di competitività, che però non può essere risolto trascurando il consolidamento dei conti pubblici».
Gira e rigira, siamo sempre al binomio rigore e austerità.
«No. Le cose stanno cambiando. Il peso dell’aggiustamento strutturale delle finanze dell’eurozona l’anno scorso è stato pari all’1,5% del Pil; quest’anno sarà dello 0,75% e l’anno prossimo dello 0,25%. Ma ricordiamoci che questo sforzo può attenuarsi solo perché l’Europa ha ritrovato credibilità sui mercati grazie all’impegno della Bce e al miglioramento della governance economica».
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