ROMA – E’ stato Guido Crosetto a definire Silvio Berlusconi, al telefono con il vicedirettore di Libero Franco Bechis, una “testa di cazzo che non si vuole dimettere”. Dopo una giornata di tira e molla, quella di lunedì 7 novembre, in serata è arrivata l’ammissione del sottosegretario: “Al telefono ero io”. Ma poi attacca: è stata violata la mia privacy.
In tarda serata del 7 novembre Crosetto manda una nota: ”Non mi va di raccontare balle. Non ne sopporto il peso. La telefonata con Bechis è mia. Era un discorso con un vicedirettore, giornalista che conosco da undici anni, di centrodestra, berlusconiano doc, di un giornale amico che, come succede molto spesso mi chiamava per capire ciò che poteva succedere”.
”Gli ho detto ciò che poteva succedere e le motivazioni. Che io, come molti altri, non voglia che Berlusconi rischi l’umiliazione che toccò a Prodi per due o tre traditori, è noto”, prosegue il sottosegretario alla Difesa.
Poi si giustifica: ”L’epiteto iniziale è semplicemente un modo magari colorito di parlare tra persone in confidenza da anni, di un terzo amico di cui non condividi in quel momento una decisione e cioè quella di andarsene da Roma oggi. A caldo pensavo fosse più semplice liquidare tutto negando, esclusivamente per non ferire una persona alla quale sono affezionato ed a cui voglio bene, con un termine che mi capita di usare con molti amici, non contestualizzando in un dialogo in libertà. Riflettendo con calma preferisco la verità. Non è mia abitudine mentire e, non voglio iniziare a farlo. Tanto più che visti i rapporti, la fiducia, la storia e gli atti di questi anni, l’interessato sa perfettamente che se dico qualcosa anche in malo modo, lo faccio per difenderlo”.
“La cosa incomprensibile – conclude Crosetto – è semmai che un amico ti registri e mandi in web una telefonata privata nella quale parli in libertà e relax. Non mi sono mai piaciute le intrusioni nella privacy di nessuno. Questa, tutto sommato, non ha nemmeno particolari elementi di interesse”.