Washington, 2006. Silvio Berlusconi tiene un discorso davanti al Congresso Usa. Un privilegio raro che ha consentito più volte a Berlusconi di raccontare in pubblico della sua grande amicizia con l’allora presidente degli Stati Uniti George Bush. Amicizia di cui non è “educato” dubitare. Certo, il video “cult” che Blitzquotidiano vi mostra in fondo all’articolo (tormentone di YouTube da tempo), racconta di una certa barriera linguistica tra i due. Nel video il premier cerca di spiegare a Bush che la bandiera Usa è per lui emblema di libertà. Non ci riesce granchè: s’impappina e il suo inglese, per usare è un eufemismo, è zoppicante. Bush, a cui evidentemente “la battuta piace” lo ascolta, prova a capire e alla fine non si tiene: “Parli bene inglese!”. Il premier incassa, ai posteri consegnamo il dubbio: il Cavaliere ha capito che Bush lo stava prendendo in giro?
Per aggirare la barriera linguistica ci sono gli interpreti, è vero, così come è vero che per curare le relazioni tra stati ci sono i diplomatici. E grazie (o per colpa, a seconda dei punti di vista) di Wikileaks ora sappiamo come e perché Berlusconi ottenne il privilegio di parlare davanti al Congresso. Si era nell’imminenza delle politiche del 2006. Berlusconi era 8 punti dietro Prodi nei sondaggi. Serviva un colpo di coda per evitare la debacle: e l’immagine di un Cavaliere “ammesso” al Congresso dava l’immagine di un premier influente e vincente. Berlusconi parlò e le elezioni le perse lo stesso, ma quasi pareggiandole. Prodi governò “zoppo” e per poco.
A raccontare nel dettaglio come andò, quel giorno al Congresso è Vittorio Zucconi su Repubblica: “Gli fu concesso il discorso davanti al Congresso, al Parlamento a Camere riunite, come Washington regala ai clienti che vuole puntellare. Lo show gli fu benignamente concesso, ma, avvertirono ambasciatori e funzionari, “con molta prudenza”, perché di lui, “formidabile gaffeur”, “pistolero della politica” e vacillante alleato sui fronti russi e iraniani, la capitale che gli concesse il teatro aveva già cominciato a diffidare dietro i proclami di amicizia e di stima”.
Zucconi racconta che “nel suo rapporto confidenziale l’ambasciatore americano a Roma, il repubblicano Ronald Spogli” chiese a “Cautela” e “impegni chiari da lui”. Tutto per cercare di non “contrariare Prodi”. Il risultato fu che “Berlusconi ebbe il suo monologo, scrosciarono gli applausi prescritti dall’aula imbottita di “stagisti”, assistenti, segretarie e portaborse del Congresso comandati all’ultimo momento per riempire i troppi posti vuoti e due mesi più tardi perse le elezioni contro Prodi. È un altro di quei retroscena, di quelle verità, che le pacche sulle spalle e le pezze disperatamente cucite ora dall’Amministrazione americana e da Hillary Clinton per coprirle, non riescono più a nascondere e che i rapporti riservati della rete diplomatica americana diffusi attraverso WikiLeaks hanno per sempre strappato”.
Il dato politico evidente, secondo Zucconi, è che “dal 2001, quando tra Bush e Berlusconi parve formarsi una sintonia politica e umana infrangibile, al 2010, quando la Clinton, sotto la nuova presidenza Obama, cominciò a sentire odore di bruciato e di soldi privati nella ostentata amicizia con Putin, il giudizio di Washington verso Berlusconi è andato inesorabilmente deteriorando. “Il grande comunicatore schierato fortemente dalla parte dei nostri interessi” delle prime valutazioni entusiastiche si degrada fino all’uomo “inattendibile”, il “gunslinger”, il pistolero “in cattiva salute per effetto dei suoi stravizi”, “intollerante di ogni dissenso”, lentamente ma progressivamente tradito anche dalla propria corte che si prepara ad abbandonare la nave e sussurra addirittura indiscrezioni sanitarie sul capo. Fino a rivelare alla diplomazia di un Paese straniero l’esito preoccupante degli esami clinici”.
Per il giornalista di Repubblica le informazioni sulla salute del premier ” non sono “gossip” o “pettegolezzi” da salotto romano, ma informazioni essenziali per altre nazioni che devono conoscere il profilo psicologico e le condizioni dei loro interlocutori. Gli enormi, e a volte grotteschi sforzi per scoprire come stesse davvero di salute Breznev negli Anni 80, con tentativi di sifonare anche il suo bagno privato per esaminarne le urine, sono noti”.
Anche Zucconi, quindi, ricorda il non impeccabile inglese del Cavaliere: “Invitò il Cavaliere nel rifugio presidenziale di Camp David, dove Berlusconi fece sfoggio di un memorabile inglese divenuto un video cult in Rete, offrendo all’americano “le salutazioni del Presidente della mia Repubblica” e poi imbarcandosi in uno sgangherato elogio della bandiera a stelle e strisce che meritò alla fine i sarcastici complimenti di un incredulo Bush: “Ma lei parla proprio un ottimo inglese””.
Berlusconi, ricapitola Zucconi, “leggerà un discorso alle Camere in italiano, senza simultanea, con versione inglese data ai 200 fra senatori e deputati presenti in aula, sui 535 totali, e le parti da applaudire già segnate in precedenza. Concederà l’aneddoto, ma questo in inglese con la pronuncia figurata nel suo testo, della visita di un bambino nel cimitero militare di Anzio e Nettuno, con il padre, per rendere omaggio al sacrificio dei soldati americani, rivelando, senza sorpresa per nessuno, e con l’applauso anche dell’allora senatrice Clinton, che quel bambino era lui. Nel pubblico, fra funzionari e portaborse parlamentari frettolosamente convitati, comparivano cuochi e ristoratori italiani di Chicago invitati per fare da platea osannante”.
“Nella capitale dell’impero – conclude Zucconi – allora come oggi, lo show piaceva sempre meno. Ora lo sappiamo anche noi”.
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