ROMA – In Italia c’è una legge che obbliga a costruire le case secondo criteri antisismici, insomma che non crollino al primo terremoto anche di media intensità. E’ una legge relativamente nuova, è in vigore dal 2010. In realtà era stata approvata già nel 2008, approvata e subito “congelata” per non danneggiare le imprese edilizie. Poi venne nell’aprile 2009 il terremoto in Abruzzo e la legge fu tirata fuori dal frezeer. Dunque è in vigore, obbliga i costruttori e poi i compratori a sostenere i costi della sicurezza. Ma il governo ha stabilito un’eccezione alla legge: dal rispetto delle norme anti terremoto è stata esentata…L’Aquila!
Dice la deroga governativa: per la zona terremotata la ricostruzione delle case può avvenire senza rispettare il cento per cento dei parametri di sicurezza, basta fermarsi al 60/80 per cento. Un robusto sconto, un deciso taglio alla possibilità che la casa non ti caschi in testa alla prossima scossa. Devono aver pensato che bisogna esser “sfigati” per subire due volte un terremoto, devono aver applicato la regola che vale sotto i bombardamenti, quella che suggerisce che dove è caduta una bomba, proprio lì in, quel buco, è difficile ne cada un’altra. Razionale, no? Più o meno scientifico e razionale come tirare in aria una moneta e puntare sul fatto che non verrà due volte di fila testa oppure croce. Ma non è per calcolata sfida alla “sfiga” che è stata pensata la deroga. Nasce da altro tipo di conti. Lo spiega il Commissario alla ricostruzione: “La possibilità di demolire e ricostruire gli edifici esistenti: ci si accontenta di un livello di sicurezza che è comunque il doppio di quello di partenza. L’adeguamento al cento per cento potrebbe diventare antieconomico per lo Stato”. Ah, ecco…antieconomico.
Traduciamo anche se non ce n’è bisogno: prima del terremoto le case a L’Aquila venivano giù alla prima scossa, adesso si possono ricostruire che vengono giù alla terza, che è comunque meglio di prima. Se le si ricostruisse in sicurezza a totale norma di legge lo Stato che finanzia la ricostruzione dovrebbe spendere molto di più. Quindi si “accontentino” i terremotati de L’Aquila. Che sia questione di soldi è confermato dal fatto che le richieste di finanziamento pubblico per ricostruzioni al 60 per cento della sicurezza possibile e prevista dalla legge vengono subito accolte, le altre, quelle al cento per cento aspettano e vengono “scoraggiate”. Il messaggio è chiaro: hai una casa danneggiata dal terremoto, ricostruiscila sicura a metà, in sicurezza ma soltanto un po’.
A raccontare il tutto a deputati della Commissione Ambiente della Camera, forse sorpresi ma di sicuro ignari, è stato il Consiglio nazionale degli Ingegneri. Che ha chiesto agli eletti dal popolo: ma come vi viene in mente di esentare dalle norme di sicurezza L’Aquila oggi e domani le zone terremotate e come si può immaginare e promuovere uno sconto sulla sicurezza proprio là dove si ricostruisce? L’unica risposta che hanno ottenuto è stata: per risparmiare. “Risparmiavano” anche quelli che costruivano prima, hanno “risparmiato” tanto che a L’Aquila un terremoto di media entità ha fatto trecento morti. Come il cavallo che si stava meravigliosamente abituando a non mangiare quando, interrompendo il felice e virtuoso risparmio sul cibo, improvvisamente morì di fame.
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