Bologna ancora “la rossa”: Merola sindaco al fotofinish

Virginio Merola (Lapresse)

BOLOGNA – Virginio Merola ce l’ha fatta: è lui il nuovo sindaco di Bologna al fotofinish che riesce a superare, seppur di poco, l’asticella del 50% (per l’esattezza ha conquistato il 50,5% dei voti). Segui qui la diretta dei risultati. Un risultato insperato dopo le prime proiezioni e che dimostra una volta su tutte la forza del Pd e della sinistra sotto le due Torri. Perché Merola ha fatto meglio di Flavio Delbono, che nel 2009 fu costretto al ballottaggio.

Perché Merola viene dopo un biennio horribilis per la sinistra bolognese, metà in cui la buonanima (politicamente parlando) di Delbono veniva logorato e distrutto dal Cinzia-gate, scandalo di sesso, bugie e credit card che lo ha costretto alle dimissioni; e l’ultima metà durante la quale il prefetto Anna Maria Cancellieri ha dimostrato che esiste una via “tecnica”, efficiente e popolare ma tecnica, al governo di Palazzo d’Accursio, umiliando così – lei non “del mestiere” e neanche di Bologna –  tutta la classe dirigente politica bolognese.

Perché a dire la verità neanche il quinquennio “cinese” del sindaco Sergio Cofferati (2004-2009) viene ricordato dalla città come particolarmente esaltante, anzi. E Merola della giunta di Cofferati era assessore. “Più cofferatiano di Cofferati”, dicevano gli insider della politica petroniana.

Perché a dirla proprio tutta il giocattolo del “modello Bologna” si era rotto da quasi 20 anni: dal 1993, anno in cui Walter Vitali prende il posto dell’ultimo dei grandi sindaci del Pci, Renzo Imbeni. Nel 1999 se n’era accorta tutta Italia, quando con l’elezione di Giorgio Guazzaloca fu violato uno storico santuario “rosso”, un Comune che dal 1945 aveva sempre avuto un governo comunista solo negli ultimi anni pidiessino. Ma neanche questa sconfitta è servita a svegliare l’establishment “sinistro” bolognese.

Come la candidatura Delbono, anche questa di Merola è frutto di uno stato di torpore. Però è un torpore di un elefante di ancora grande potenza, un blocco di potere che resta duro da scalfire: cooperative, sindacati, circoli arci, presenza sul territorio di un Pd mai fattosi “liquido” da queste parti.

Così ce l’ha fatta anche Virginio Merola da Santa Maria Capua Vetere (Caserta), che ha condito la sua campagna elettorale con gaffe sul Bologna (“spero che torni in A”, ma in A c’era già), improvvide ammissioni di spinelli fumati in gioventù, fastidiosi smarcamenti da accuse di alzare un po’ troppo il gomito, fattegli da un ex compagno di giunta Antonio Amorosi.

E’ la vittoria di un mediano della politica, è la vittoria del collettivo. Una squadra compatta contro la quale nulla poteva Manes Bernardini, candidato “leghista dal volto umano” giovane, presentabile, brillante. Avvocato ma figlio di un’operaia e di un ferroviere comunisti. Pupillo di Maroni ma con un pedigree di bolognesissima gavetta che non lo ha fatto mai appiattire su posizioni troppo “lumbard”. Ma il centrodestra a Bologna è debole e per di più questa volta si era presentato non tanto unito, con il Pdl che dopo troppi tentennamenti su chi candidare “a perdere”, ha dovuto accettare una proposta “padana”, che per come si erano messe le cose non poteva rifiutare.

Ha vinto Merola e avrebbe tantissimo da lavorare se volesse far ripartire il “laboratorio” bolognese.

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