Spendere un euro e incassarne quattro. Il tutto con un rischio finanziario pressochè nullo. Il sogno di ogni investitore, insomma. Per realizzarlo, però, non serve lanciarsi in spericolate operazioni finanziarie, basta fondare un partito politico e prendere almeno l’uno per cento ad una qualsiasi tornata elettorale.
Lo dimostra, in modo inequivocabile, un dettagliato referto pubblicato dalla Corte dei Conti che riassume la differenza tra le spese sostenute in campagna elettorale e i rimborsi intascati secondo quanto previsto dalla legge vigente. Qualche cifra per comprendere la portata dell'”investimento”: alle politiche 2008 il partito che ha speso di più è il Pdl che tra manifesti, volantini e spot ha sborsato oltre 68 milioni di euro. Una cifra tale da mettere in ginocchio tante aziende. Rischio, però, che la politica non corre perchè il Popolo della Libertà ha diritto a un rimborso di 206 milioni di euro.
Cifre simili anche per altre forze politiche: al Pd spettano 180 milioni di rimborso a fronte di una spesa inferiore ai 19 milioni. Meglio ancora è andata alla Lega che incassa 41 milioni dopo averne spesi 4 e all’Italia Dei Valori che chiude con un bilancio in attivo di 17 milioni.
A rimetterci, ma solo in questa campagna elettorale è stata solo la Sinistra Arcobaleno che, a causa di un risultato elettorale deludente, chiude con un passivo di circa 2 milioni.
Tutto questo in barba ad un referendum che, nel 1993 con un risultato schiacciante (85% dei favorevoli) aveva stabilito la fine del finanziamento pubblico ai partiti. Fine, però, solo formale. Le forze politiche, infatti, preso atto della volontà popolare, hanno stabilito la sostituzione del finanziamento con un “rimborso” proporzionale ai voti ottenuti. Rimborso spese, caso assolutamente unico, che prescinde dalle spese ma è un forfait stabilito a priori. Morale della favola, indipendentemente dagli esborsi, le forze politiche ogni anno si dividono circa 200 milioni, quattro euro ad elettore.
E per cadere sempre in piedi, la legge stabilisce che i rimborsi proseguono inesorabili anche in caso di conclusione anticipata della legislatura. Così l’Italia si guadagna il primato europeo di paese con i costi più alti della politica: 295 milioni l’anno contro i circa 130 della Germania, gli 80 della Spagna, i 75 della Francia e gli appena 4 della Gran Bretagna dove il finanziamento pubblico foraggia solo chi è all’opposizione.
C’è dell’altro: il “rimborso” si calcola non sui votanti ma sugli aventi diritto e la soglia di sbarramento per averne diritto non è il 4% che vale per l’ingresso al parlamento ma un misero 1%. Grazie allo stratagemma, quindi, vengono rimborsate anche quelle forze politiche come La Destra che in Parlamento non sono entrate.
Grazie alla pioggia di soldi – la Corte dei Conti, tra le altre cose, definisce improprio il termine “rimborsi” – le spese dei partiti in campagna elettorale si sono gonfiate a dismisura: nel 1996 le spese complessive di campagna elettorale non raggiungevano i 20 milioni, nel 2008 hanno sfondato il tetto dei 136. Tanti? Un’inezia rispetto ai 503 milioni intascati dai partiti sotto forma di rimborsi.
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