ROMA – I sondaggi non sono la Bibbia e neanche il Vangelo, però l’ultimo commissionato e offerto dal tg di Mentana, è come una foto di gruppo dell’elettorato in cui spicca, se guardi bene, soprattutto lui: l’elettore cattolico. Soprattutto lui perché, tra gli elettori che si dichiarano cattolici di fronte al sondaggista che interroga, ben il 46 per cento promette il suo voto al Pdl di Berlusconi. Molto più di quanto non faccia l’intero corpo elettorale che dichiara intenzione di voto per il Pdl al 30,2 per cento. Sedici punti percentuali in più della media nazionale, l’elettorato cattolico è il granaio del consenso a Berlusconi. E’ un fatto e con i fatti non si polemizza, li si accetta e si prova a capirli. Nelle intenzioni di voto Pdl di Berlusconi, Lega di Bossi e Destra di Storace fanno 42,3 per cento. Pd di Bersani, Sel di Vendola, Idv di Di Pietro più Federazione della sinistra, Verdi e Socialisti fanno tutti insieme 41,6 per cento. A decidere chi dei due schieramenti oggi “vale” di più è dunque la fedeltà e l’attaccamento dell’elettorato cattolico alla scelta pro Berlusconi. Come direbbe un cronista sportivo, è l’elettorato cattolico che “fa la differenza”. L’elettorato, la gente cattolica, prima ancora che la Chiesa e la Gerarchia.
Per questo “sentire”, diffuso sentire dell’elettorato cattolico italiano c’è una spiegazione “alta” che rimanda alla natura dolce e perdonista della religione cattolica. Ciò che risulta incomprensibile alla cultura, alle società e alle confessioni religiose anglosassoni in Italia è invece profondamente radicato: l’errore e il “peccato”, anche dell’uomo pubblico, sono accidente e non sostanza, sono emendabili e rimuovibili. Il cattolico perdona, è una religione mite, perdona anche l’offesa allo Stato. Il codice morale del cattolico non è quello del rigore civile ma quello della pietas umana per cui ogni eventuale “peccatore” è sempre meritevole di perdono. Anzi il perdono è un suo diritto, quasi canonico.
Poi c’è una spiegazione “sociologica”: non è tanto il cattolicesimo ad essere una religione dolce, quanto il cattolicesimo italiano ad essere un cattolicesimo tenue. Insomma in Italia si dichiara e si sente in buona fede cattolico anche chi poi nei fatti, negli usi e costumi, a regola cattolico non è. Ci si sente cattolici ma da cattolici non si vive. Quindi i precetti morali, perfino la effettiva pratica religiosa, non connotano e non informano di sè la cattolicità diffusa. Cattolici si sentono e si dichiarano coloro che di fatto praticano un culto dei santi protettori che molto ha di pagano. Cattolici si sentono coloro che pure si sentono liberi e non vincolati da ogni obbligo di cattolica “socialità”. Il culto esclusivo della “roba” e della famiglia intesa come impermeabile e ostile allo Stato si sposa nella cultura italiana con il culto, anzi con l’appartenenza cattolica.
C’è infine una spiegazione materialistica-deterministica: i soldi valgono più di una prece e la garanzia che Berlusconi promette di una difesa dell’interesse individuale valgono più, molto di più dell’eventuale “scandalo” che il premier dovesse dare. Se “Parigi valeva bene una messa” per il re francese che si faceva cattolico per regnare, “Berlusconi val bene un voto” per l’elettore cattolico anche se la vita e l’esempio di Berlusconi in una messa non entrerebbero neanche per miracolosa intercessione di Padre Pio.
Come che sia, l’elettorato cattolico sta vivendo il bunga-bunga di Berlusconi come una confessione cui segue assoluzione. E senza penitenza.
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