TORINO – “Se la sinistra non cambia, rimane come la destra”. A Roma la minoranza cerca la via dopo la batosta congressuale, a Torino Matteo Renzi salpa per la campagna elettorale. Una coincidenza che irrita non poco i fedelissimi anche se in tanti, come Andrea Orlando e Roberto Speranza, hanno scelto di partecipare ad entrambe le iniziative. “Non perdiamo tempo a litigare, abbiamo troppo da fare”, è l’appello all’unità del leader dem.
Ma agli altolà della sinistra su una riforma del lavoro con “norme di destra”, come ha dichiarato Gianni Cuperlo, e sul “rischio plebiscito” dell’Italicum e del Senato delle Autonomie, come detto da Pier Luigi Bersani, Renzi fa spallucce: “La sinistra che non cambia diventa destra”, chiarisce Renzi che né ha intenzione di lasciare lo scettro del Pd né di correggere la sua rotta. Dopo le polemiche sulle liste e alcune rinunce eccellenti, Renzi porta sul palco di Torino le 5 capolista donne. Cinque minuti a testa anche ai sindaci mentre un posto d’onore è riservato a Sergio Chiamparino, candidato alla presidenza del Piemonte.
Un ritorno a casa, in realtà, per l’ex sindaco di Torino che riconosce al premier “il coraggio di aver rotto gli schemi della sinistra” e di averlo convinto a riprendere la tessera del Pd. Ma se Chiamparino ringrazia l’ex sindaco di Firenze, a Roma Gianni Cuperlo e Massimo D’Alema sono meno convinti che la cura Renzi faccia bene al Pd e lanciano una sfida per riprendersi, in un futuro non imminente, il partito. Ma è sulla ricetta per le riforme che nel giorno dell’avvio della campagna per le europee si conferma tra i dem un solco ancora da riempire. Sul lavoro per il premier l’obiettivo è l’occupazione e non le regole: “Se le regole raddoppiano la disoccupazione non funzionano ed è inutile essere il partito del lavoro se non diamo occupazione”.
Quindi sul dl lavoro già mercoledì il ministro Poletti incontrerà dissidenti e malpancisti del Pd ma il punto per Renzi è che “il sistema di garanzie lo deve realizzare lo Stato facendo assumere persone, non continuando a mettere barriere all’entrata”.
Al PalaOlimpico siedono quasi vicini sia chi, come Cesare Damiano, è in trincea per modificare il testo sul lavoro, sia chi, come il ministro Maria Elena Boschi, è in prima fila per mettere al sicuro i provvedimenti del governo. Anche sulle riforme istituzionali per Renzi sinistra significa cambiamento altrimenti “si perde la dignità di essere sul fronte del progressismo”.
Avanti tutta sulla riforma del Senato visto che, punzecchia il premier, il superamento del bicameralismo “è sempre stata la posizione del Pd, se ora qualcuno ha cambiato idea è un problema suo”. Eppure da Roma sia Pier Luigi Bersani sia Massimo d’Alema chiedono di rivedere sia l’architrave della legge elettorale sia il Senato delle autonomie anche perché, è la frecciata del presidente della fondazione Italianieuropei, l’Italicum “l’ha scritto Verdini, non veniva fuori da un circolo di riformatori illuminati”.
Ma il premier ha poca voglia di essere frenato sia “dalla palude romana” sia da chi, anche nella minoranza, cerca di rallentarlo solo per ottenere, a suo avviso, un po’ di visibilità. Per Renzi sinistra vuol dire colpire gli stipendi dei manager, dare gli 80 euro ma anche andare “come una ruspa” sulla burocrazia per poi nel 2015 prendere altri impegni, tra i quali “un intervento sulle pensioni sotto i mille euro”. Dalla sua, il leader Pd sa di avere sondaggi favorevoli per provare a vincere le europee e poi correggere la rotta di “un’Europa che non sia solo rigore”.
Una campagna elettorale che non risponderà alle provocazioni di Grillo, “lasciamolo nel suo brodo”, chiede ai candidati Pd. Ma il consenso del premier è anche il motivo per cui per ora, come dice Cuperlo, la minoranza sa che è il momento di “gettare le reti” e non ancora di raccogliere. In futuro si vedrà ma certo Massimo D’Alema non ha intenzione di mollare: “Non va quest’idea di partito come comitato elettorale del leader, noi dobbiamo farlo funzionare e organizzarci come una minoranza che vuole diventare maggioranza”. Renzi è avvertito.
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