Il senatore a vita Emilio Colombo compie 90 anni: “Chiedo scusa per aver utilizzato la coca”

Domenica 11 aprile Emilio Colombo compie 90 anni. Senatore a vita dal 2003, Colombo li festeggerà a Roma con la famiglia; poi, martedì 13 il Senato gli dedicherà una seduta.

A seguire, il senatore partirà per una specie di tournée: Strasburgo, Aquisgrana. Più in là una cerimonia nella sua Potenza: «Adesso la città è ferita per l’atroce storia di Elisa Claps, non potrei mai festeggiare in mezzo a tanto dolore. Si vedrà».

La carriera politica di Colombo è lunga 64 anni. Montanelli lo descrisse «dritto come un manico d’ombrello, una voce tersa come la brina».

Su tutti questi anni di esperienza politica c’è però una macchia che pesa: il coinvolgimento nel 2003 in un’inchiesta sul traffico di cocaina a Roma, seguita dalla sua ammissione di averne fatto uso personale «per ragioni terapeutiche » dovute, disse, allo stress da lavoro: «Nella vita, ogni persona tenta di inviare dei messaggi positivi. Tra quelli negativi, da parte mia, c’è questo episodio. Per il quale oggi, in piena onestà, mi sento di dover chiedere scusa al Paese. Sì, di chiedere scusa».

Una presidenza del Consiglio, trenta nomine a ministro, tre presidenze del Parlamento Europeo. Va fierissimo Colombo, soprattutto dei dieci anni trascorsi al Tesoro con sette diversi incarichi: «Sempre al fianco di Guido Carli. Si discuteva ma mai una vera lite. Fronteggiammo insieme la prima grande inflazione italiana dopo quella di De Gasperi, il Financial Times ci premiò con l’Oscar per la moneta più forte». Appena un lampo ed ecco riaffiorare Giuseppe La Pira, sindaco democristiano di Firenze: «Veniva da me al Tesoro per chiedere fondi. Mi sussurrava: “Colombino, Colombino mio, lo sai che il Bilancio è una congettura…”. In effetti è così, si prevedono entrate e spese su valori non acquisiti. Gli rispondevo: “Può essere una congettura ma dobbiamo scrivere cifre con una visione realistica. Non posso prometterti soldi falsi”».

Gromyko, per trent’anni ministro degli Esteri dell’Unione sovietica, gli regalò un colbacco che Colombo usa ancora per proteggersi dal freddo: «Andai a Mosca per convincere i sovietici a partecipare al vertice di Madrid della Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa, cioè la conclusione del processo di Helsinki. Lui andò avanti per ore a colpi di “niet”, niente da fare, non verremo. Solo alla partenza mi sussurrò all’orecchio: “Se mi promette di non dirlo, le confido che verremo”. Fu una grande vittoria».

Altro ricordo vivissimo: l’Europa. «La voce di Margaret Thatcher durante i vertici europei che grida “my money, my money!”, preoccupata com’era delle sorti della Sterlina. Donna dura, ma gran politico ». Deng Xiaoping a Pechino si fa descrivere il progetto europeo, Colombo ci impiega un’ora: «Poi lui mi dice “ma se questo progetto è così bello, perché non lo avete ancora attuato? I sovietici stanno per impossessarsi di tutte le fonti di energia lungo i mari caldi, tra poco vi strangoleranno, e voi che farete con la vostra Unione?”». Per fortuna, poi, non andò così.

Le pagine più belle di questa lunghissima vita sono «gli anni al Tesoro. La stessa presidenza del Consiglio, durissima per i moti di Reggio Calabria con Ciccio Franco, il “Boia chi molla”. Poi Bruxelles, fui il primo presidente dell’assemblea europea a parlare al Parlamento spagnolo e a quello portoghese dopo la caduta dei regimi di Franco e Salazar».

Ma in 64 anni di vita politica ci sono anche delle pagine buie, al dilà della storia della cocaina: «Mani pulite, la liquidazione di un’esperienza come quella della Democrazia cristiana in quel modo… la storia, quella vera, renderà merito a un partito capace di traghettare l’Italia oltre la catastrofe del dopoguerra e del fascismo, in un’Europa stretta tra il blocco comunista e le dittature di destra, con il più forte partito comunista occidentale, rimanendo sempre una democrazia piena, libera».

Infine, a proposito delle riforme prospettate, Colombo ha le idee chiare: «Per me, ciò che non resta toccabile è il principio di Repubblica democratica parlamentare. Di qui il mio pregiudizio negativo su tutti i tentativi presidenzialisti. La democrazia corre pericoli di alterazioni sostanziali, – aggiunge il senatore a vita – vedo tendenze plebiscitarie, autoritarie, una forte accentuazione del personalismo. Non si capisce che le future classi dirigenti si formano nei partiti. E che dunque i partiti, quelli veri, sono necessari».

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