ROMA – Cosa farà Fiat del progetto Fabbrica Italia si saprà solo a fine ottobre. Nel frattempo i timori su un disinvestimento interno del Lingotto agitano mondo politico e sindacale, compatto ora a chiedere spiegazioni ai vertici Fiat come lo fu fino a pochi giorni fa nel bersi come oro colato la promessa dei 20 miliardi 20 di investimenti negli stabilimenti italiani. Poi la doccia fredda: la situazione è cambiata, la crisi dell’auto in Europa è talmente drammatica che buttarci altri soldi non sarebbe economicamente sostenibile. Retromarcia pragmatica e dettata dagli eventi o ritiro ingiustificabile della parola data? E se il problema non era la produttività (gli stabilimenti lavorano a corrente alternata perché la capacità produttiva è troppo elevata rispetto alla domanda) perché Marchione ha sostenuto una guerra all’ultimo sangue per ridurre all’inoffensività l’unica sigla sindacale che ci aveva visto giusto?
L’onore delle armi alla Fiom è arrivato da un personaggio non sospettabile di simpatie massimaliste come Cesare Romiti, tranchant nel denunciare la remissività dei sindacati: “Non hanno fatto il loro lavoro, solo la Fiom l’ha fatto”. Ora, nell’ansiosa attesa che la sfinge Marchionne offra un segno, tutti, dal Pd al Pdl chiedono che il governo si occupi della vicenda. Passera e Fornero chiedono spiegazioni ma fin ora non hanno convocato nessuno. L’ultimo a parlare con Marchionne e John Elkann è stato il sindaco di Torino Piero Fassino, uno dei primi e più accaniti sostenitori dell’amministratore delegato in maglioncino blu, che pure di bidoni e delusioni con Torino non è stato avaro. E’ Fassino dunque l’oracolo cui affidarsi. Gli hanno dato rassicurazioni, dice. “Mi hanno detto che Fiat è ben consapevole del suo ruiolo e che non vuole provocare scassi o degli choc, ma deve fare i conti con un momento molto difficile per tutti”.
Ma i 20 miliardi in Italia li mettono oppure no? Non è dato sapere, eppure Fassino si fida. La linea di credito generosamente accordata alla Fiat dalla dirigenza del Pd sembra un po’ incrinata dalle parole del segretario Bersani che non ha paura di avallare soluzioni “dirigiste”: se non li fa funzionare la Fiat gli stabilimenti, qualcuno li deve far funzionare, la produzione di auto in Italia è troppo importante. Ma sono dichiarazioni un po’ tardive: ci volevano le disastrose performance dell’ultimo anno per capire che l’impegno totale Fiat è verso i suoi azionisti tramite l’internazionalizzazione del marchio e il suo scioglimento in acque americane?
I famosi modelli dove sono? Prima che gli stabilimenti, è stata dismessa la progettazione: per due anni gli ingegneri sono stati fermi, accusa ancora Romiti. Ma Fassino ci crede ancora. Nessuno gli ha chiesto se sottoscriverebbe ancora le frasi di adesione totale al progetto Marchionne della fine del 2010, in piena vertenza: “Se fossi un lavoratore della Fiat voterei sì all’accordo”. Chi in buona fede lo fece adesso si è ricreduto e ed è costretto ad ammettere che le ragioni della battaglia persa dalla Fiom erano fondate. D’altra parte il mantello dell’invisibilità che avvolge Harry Potter Marchionne strega gli avversari e sottrae dagli umani affanni.
Maggio 2009. Massimo D’Alema, deputato Pd: “Ho sempre pensato che il destino della Fiat era quello di una forte internazionalizzazione in una fase caratterizzata dalla concentrazione della produzione di automobili. Marchionne lo sta facendo nel modo migliore”. Marzo 2011. Raffaele Bonanni, segretario generale Cisl: “Sarà brusco, sarà crudo, ma Marchionne è stato una fortuna per gli azionisti e i lavoratori della Fiat. Grazie a Dio c’è un abruzzese come Marchionne”. Giugno 2011. Maurizio Sacconi, ministro del Lavoro: “A Marchionne si oppongono il sindacato conservatore, settori ideologizzati della magistratura e ambienti delle borghesie bancarie. Una alleanza minoritaria che in Italia più volte ha rallentato il progresso”.
Con la Volkswagen nessuno si sognò di offrire carta bianca a nessuno. La ristrutturazione coinvolse i sindacati, ma il gruppo si concentrò ancor di più sull’auto e sui nuovi modelli. Ora distribuisce “dividendi” anche agli operai sotto forma di aumenti salariali. Quando Marchionne bussò in Germania per la Opel la porta restò chiusa. Quando Obama gli ha offerto la Chrysler lo faceva per difendere i posti di lavoro a Detroit. Il piano si chiamava Fabbrica Usa?
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