Pierluigi Bersani presenta, un mese dopo la sua incoronazione a nuovo segretario del Pd, la squadra che guiderà il partito. Viene fuori un «governo» del partito articolato su una guida binaria: alla testa dei vari Dipartimenti tematici saranno infatti nominati i «ragazzi» della segreteria che Bersani definisce «giovani sperimentati» i quali però si ritroveranno negli stessi settori di competenza, altrettanti «tutor» che sono esponenti del Pd esperti come Piero Fassino, Beppe Fioroni, Livia Turco e Paolo Gentiloni.
Dunque, l’effetto novità si è concentrato solo sui dodici componenti della nuova segreteria: secondo però Mario Adinolfi, già uomo di punta dello staff di Franceschini nella campagna delle Primarie, anche questi non sono delle novità. Adinolfi dice provocatoriamente: «È una segreteria fatta da segretari: c’è il segretario di D’Alema, quello di Letta, persino quello di Visco…».
La provocazione di Adinolfi nasconde una mezza verità; sui dodici componenti della segreteria soltanto quattro (Catiuscia Marini, già sindaco di Todi, Cecilia Carmassi, ex assessore alla Provincia di Lucca, Matteo Mauri, già assessore provinciale a Milano, Davide Foggia, ex presidente della Provincia di Venezia) hanno consumato «esperienza sul territorio come amministratori», gli altri hanno scalato posizioni per vie diverse.
Personaggio simbolo della nuova infornata è il romano Matteo Orfini: trentacinque anni, da cinque braccio destro di D’Alema di cui è diventato anche un clone nel modo di parlare, Orfini è ragazzo colto e sveglio, ma è l’esempio di persona che impara le arti del mestiere a fianco del leader piuttosto che sul territorio. Segretario della sezione Mazzini dei Ds (la stessa del “leader Maximo”), scrisse una lettera aperta a Nanni Moretti per lamentarsi per certe affermazioni del regista. D’Alema apprezzò il piglio del suo giovanissimo segretario di sezione e lo chiamò a sé. Cinque anni più tardi, Orfini è entrato in segreteria.
Insomma la tanto auspicata svolta che Bersani voleva non c’è stata. Se nel campo della giustizia aveva confidato nei giorni scorsi: «In quel posto lì non ci voglio un ex magistrato e neppure un ex avvocato», il nuovo segretario ha sondato personaggi autorevoli e capaci di dare un indirizzo meno giustizialista che in passato – Marco Follini, Pierluigi Castagnetti, Paolo Gentiloni – ma alla fine ha prevalso il richiamo della «foresta», le pressioni del «partito dei giudici». A guidare il Forum Giustizia sarà Andrea Orlando, un quarantenne di La Spezia, che sulla «Navicella parlamentare» fa scrivere di sé: «Diploma di maturità scientifica, dirigente politico».
Per formare la squadra Bersani ha dovuto pagare il prezzo alle pressioni delle tante sub-correnti (ben 12) proliferate all’ombra delle tre aree-guida, quelle che fanno riferimento a Bersani, Franceschini e Marino, i leader che si sono affrontati nelle Primarie. Le aree-guida e le sub-correnti hanno fatto moltiplicare le poltrone e le poltroncine che hanno portato ad esempio alla creazione di ben 6 vice presidenti dei gruppi parlamentari dai 4 che erano originariamente.