ROMA – Il lavoro divide la sinistra: meglio turarsi il naso e dire sì alla riforma del lavoro firmata Monti-Fornero o rischiare di andare ad elezioni mettendo nei guai il governo dei professori?
Il bivio è di quelli rischiosi. Se la sinistra sbaglia rischia di affondare, con le sue stesse indecisioni, proprio nella crisi del settimo anno del Pd che non si è fatta aspettare.
Quando mancano meno di ventiquattro ore all’incontro che dovrebbe essere decisivo, ancora i democratici si palleggiano i dubbi, mentre la Cgil ha già alzato le barricate: sul restyling dell’articolo 18 e sulla riforma da fare passare come decreto legge oppure come legge delega.
Il segretario del Pd Pierluigi Bersani praticamente sconfessa la riforma, allontana l’immagine di “montiano” che gli si era cucita addosso: ”Non morirò dando il via libera alla monetizzazione del lavoro”. Che deve fare il partito allora? Dimenticarsi della spinosa questione dell’articolo 18 e dare appoggio al governo Monti comunque?
L’ultima mossa, per ora, spetta al governo: scegliere se imporre il decreto legge per la riforma o invece passare la palla al Parlamento con la legge delega. Nel secondo caso probabilmente l’articolo 18 rivisitato di Fornero & co. non arriverà a cambiare la vita dei lavoratori italiani.
Se così fosse, l’esecutivo dei tecnici non reggerebbe molto e il rischio sarebbe quello di andare troppo presto ad elezioni, in un momento in cui la sinistra è troppo frammentata per non uscirne male.
Rosy Bindi afferma: ”Questo governo può andare avanti se rispetta la dignità di tutte le forze che lo sostengono”. Dentro il Pd stesso le aree dei lettiani e dei veltroniani temono che Bersani, che sulla difesa dei lavoratori fonda la sua linea politica, possa rompere se la riforma in Parlamento non verrà modificata.
Dario Franceschini dopo un faccia a faccia con il segretario dice: ”Negli ultimi tempi c’è stato un uso un po’ eccessivo del decreto legge, su una materia delicata come il lavoro bisogna procedere con un ddl”.
Per il Pd e il suo futuro la posta è alta. Anche Massimo D’Alema si spende per cercare modifiche sull’art.18 che ritiene ”confuso e pericoloso”. Pietro Ichino sostiene che ”in questa riforma c’è molto Pd” e chi, come il responsabile economico Stefano Fassina, chiede profonde modifiche perché ”sarebbe un grave errore istituzionale e politico forzare ulteriormente il senso di responsabilità del Pd”.
Davvero il Pd sarebbe capace di opporsi in blocco alla riforma della Fornero? Probabilmente almeno una cinquantina di fedelissimi a Monti non si sposterebbe, ma dentro il partito si creerebbe uno scollamento reale.