Marco Travaglio risarcirà il Presidente del Senato Renato Schifani con una somma di 16 mila euro a fronte dei quasi due milioni chiesti per diffamazione (1.750.000) in seguito a quanto affermato dal giornalista sull’Unità e rispettivamente in due puntate delle trasmissioni Crozza Italia e Che Tempo che fa.
Il Tribunale di Torino, VII sezione civile, ha sostanzialmente riconosciuto l’elemento diffamatorio soltanto nella trasmissione Che Tempo che fa (10-5-2008) quando Travaglio, parlando di Schifani, evocò la metafora del lombrico e della muffa. Per il resto, quanto scritto sull’Unità e quanto detto a Crozza Italia (4-5-2010), anche per i riferimenti alla mafia, sono stati giudicati pertinenti al diritto di cronaca, di critica e di satira.
Travaglio, nell’articolo ‘Scusate il disturbo’ del primo maggio 2008, ha tracciato un ritratto del presidente del Senato le cui espressioni – si legge nella sentenza – “non sono gratuite bensì necessarie per rappresentare l’espressione critica del giornalista e non sconfinano nella contumelia essendo contenute nei limiti della accesa dialettica propria della dialettica trattata”.
Il collegio difensivo del presidente del Senato Renato Schifani ha preso atto con soddisfazione della sentenza di Torino. I difensori hanno confermato che l’importo che il giornalista dovrà risarcire al presidente del Senato sarà devoluto, come era già stato dichiarato, interamente in beneficienza.
Marco Travaglio: Tribunale mi ha dato ragione. “Sono contento che il presidente Schifani sia contento. Ma nemmeno io – dice Marco Travaglio in replica al collegio difensivo del presidente del Senato Renato Schifani – mi posso lamentare, per due motivi: il tribunale gli ha liquidato meno di un centesimo di quanto pretendeva da me (gli devolverò un terzo dei 41 mila euro che ho appena ricevuto da Vittorio Sgarbi, come risarcimento per la diffamazione subita ad Annozero); ma soprattutto il tribunale ha riconosciuto che tutto quel che ho detto e scritto sui suoi rapporti con uomini di mafia era vero e documentato, mentre quello che lui sosteneva nel suo atto di citazione era falso”.
“Il giudice – sottolinea il giornalista – mi ha condannato solo per una battuta. Dunque, da oggi, si può dire che la seconda carica dello Stato ha avuto rapporti con gente di Cosa Nostra, ma non che il suo successore potrebbe essere un lombrico o una muffa. Battuta che mi è costata un po’ cara, ma ne è valsa comunque la pena”.
I commenti sono chiusi.