Mario Canzio. Non voleva andarsene e lo dice: “Sacrificati affetti importanti”

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Mario Canzio: un addio aspro e lacrimoso

Mario Canzio ha lasciato la carica di Ragioniere Generale dello Stato non con lo stile che ci si aspetta da un personaggio in quella posizione in una simile circostanza, ma con una lettera aspra e polemica indirizzata ai suoi cinquemila ex dipendenti.

Mario Canzio è stato sostituito nella carica con Daniele Franco, di provenienza Banca d’Italia: Fabrizio Saccomanni, neo ministro dell’Economia, non ha perso tempo, forse non può permettersi un anti potere che rischi di remare contro la volontà del Governo, anche se questo avvenisse in nome del rigore dei conti.

I conti, si sa, sono un meccanismo infernale, perché alla fine due più due fa sempre quattro, ma nel frattempo, può fare anche tre e anche cinque e questo nella contabilità statale è ancora più vero, tra cassa competenza residui passivi.

Mario Canzio non l’ha presa bene, basta leggere l’inizio della lettera, riportata da Stefania Tamburello sul Corriere della Sera:

“l’animo è ferito dalla necessità di dover accettare gli esiti di un abbandono indesiderato e di un distacco che avrei preferito rimandare il più lontano possibile”.

Mario Canzio parla di se stesso come di

“un uomo che ha dedicato le migliori energie di cui disponeva alla crescita di un’istituzione dello Stato che svolge da decenni una fondamentale funzione di servizio per il bene del Paese”.

Mario Canzio ha lavorato nella burocrazia statale per 41 anni, dei quali gli ultimi 8 come Ragioniere generale e la sua uscita, nota Stefania Tamburello,

“peraltro avviene in ritardo rispetto al raggiungimento dell’età della pensione e quindi procrastinabile non ancora per molto”.

Scrive Mario Canzio, con una retorica e un tono paternalistico molto poco professionale che non gli fanno onore:

“La Ragioneria generale è stata per me come una famiglia e distaccarsi è sempre un passaggio doloroso”

anche perché per adempiere il “gravoso compito” ora lamenta di avere dovuto

“porre in secondo piano e persino rinunciare a coltivare interessi e sentimenti altrettanto importanti”.

E ancora, con un po’ troppo pathos:

“Tutti noi abbiamo dato un contributo fatto di impegno, professionalità, senso dello Stato e di dedizione al lavoro come poche altre strutture dell’Amministrazione statale possono vantare”.

Sarebbe da rispondergli: avete fatto il vostro dovere e vi siete guadagnati stipendio, privilegi e garanzie. Poi, senza pudore:

“Lascio con la sincera amarezza di chi avrebbe preferito rimanere ancora a capo di questo corpo scelto per poterlo vedere crescere, maturare, fortificarsi ancora”.

La lettera di Mario Canzio si può spiegare con il fatto che è troppo giovane per avere formato il suo carattere sulle rime di Charles Aznavour (“bisogna sapere/ lasciar la tavola…e andarsene/ senza girarsi indietro“), ma secondo Stefania Tamburello c’è anche

“il timore (e la voglia di allontanare da sé il pericolo) di diventare il bersaglio delle cose che non tornano nel bilancio dello Stato, dall’aumento pari a 30 miliardi della spesa pubblica durante gli anni della sua gestione alla difficoltà di disporre dei dati relativi alle uscite degli enti decentrati, essenziali per esempio per avere il quadro completo sui debiti pregressi della Pubblica amministrazione nei confronti di imprese e fornitori sui quali esiste solo la stima fatta dalla Banca d’Italia. Per non parlare dell’ultimissimo possibile addebito dello slittamento di una settimana del decreto su Imu e Cig e delle incertezze che hanno preceduto la stesura e il varo del provvedimento”.

Quando si era diffusa la notizia della sostituzione di Mario Canzio, Luca Cifoni, sul Messaggero, aveva scritto che la Ragioneria negli ultimi tempi era

“apparsa a molti come una sorta di fortino chiuso, autoreferenziale, impegnato a frenare sui provvedimenti che potrebbero dare slancio all’economia, come appunto quello relativo ai pagamenti della pubblica amministrazione”.

Francesco Giavazzi, professore di economia che negli uffici del ministero ha lavorato quasi venti anni fa e ha collaborato con il governo di Mario Monti, sul Corriere della Sera, ha scritto che

“i dirigenti di questa e di altre strutture «hanno l’interesse a rendere il funzionamento dei loro uffici il più opaco e complicato possibile, in modo da essere i soli a poterli far funzionare»”.

 

 

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