Matteo Renzi e la doppia pensione se non si dimette dalla società di famiglia

Renzi e la doppia pensione se non si dimette dalla società di famiglia
Renzi e la doppia pensione se non si dimette dalla società di famiglia

ROMA – Renzi e la doppia pensione se non si dimette dalla società di famiglia. Assunto come dirigente nell’azienda di famiglia Chil srl. (poi Eventi 6) a ottobre 2003, due giorni prima di annunciare la sua candidatura a presidente della Provincia di Firenze per la Margherita, Matteo Renzi può contare su contributi figurativi e Tfr per le cui “marchette” ci ha pensato per qualche mese fino all’elezione la stessa azienda. Non appena eletto, a giugno 2004, alla contribuzione previdenziale relativa allo stipendio da dirigente (prima, da co.co.co. niente figurativi) del futuro sindaco e presidente del Consiglio ci ha pensato la collettività (prima la Provincia poi il Comune). 300 mila euro tra contributi e Tfr.

Qual è la condizione previdenziale attuale, da presidente del Consiglio? Marco Lillo de Il Fatto Quotidiano (“Renzi non rinuncia alla pensione”) suggerisce le dimissioni dalla Chil. La presidenza del Consiglio pagherà solo i contributi Inps per l’incarico di governo (Renzi deve scegliere tra  il trattamento dei ministri non parlamentari e quello previsto per il presidente del Consiglio). Gli resta la possibilità di ricongiungere i contributi oppure fare richiesta di corresponsione della “indennità una tantum in luogo di pensione ove l’incarico di membro del governo abbia avuto una durata superiore all’anno”.

Se sarà eletto deputato però tornerà nel magico mondo del ‘figurativo’. In quel caso l’onorevole Matteo Renzi potrebbe chiedere alla Camera di versare al posto della società Eventi 6 i contributi a carico del datore di lavoro, circa il 25 per cento. Mentre il dirigente in aspettativa Renzi – a differenza di quanto accadeva quando era sindaco – dovrà almeno versare la sua quota del 9 per cento. In compenso, quando sarà vecchio, Renzi potrà cumulare pensione privata e vitalizio della Camera. Se invece Renzi si dimettesse dalla società di famiglia non avrebbe più diritto a questo privilegio in caso di elezione al Parlamento. Si torna sempre lì, ai privilegi garantiti da un’assunzione a ridosso della candidatura. Una furbata che ad altri è fruttata molto meno ed è costata molto di più. (Marco Lillo, Il Fatto Quotidiano)

Il cronista de Il Fatto cita diversi episodi dove l’improvvisa assunzione a fini previdenziali è stata valutata come una truffa e per questo perseguita dai tribunali. Si cita il caso dell’ex ministro Josefa Idem, indagata per truffa per 8mila euro per essere stata assunta dal marito un minuto prima della nomina ad assessore. E poi i casi del sindaco del sindaco di Noventa Vicentina Marcello Spigolon, del sindaco di Malles Venosta Ulrich Veith.

Il mio caso è diverso da quello di Renzi. Io avevo un lavoro a tempo indeterminato in Svizzera – spiega Veith al Fatto – ma sono stato così ingenuo da dimettermi il giorno dopo l’elezione, invece di chiedere l’aspettativa, perché pensavo che il comune mi pagasse i contributi come per un dipendente”. Quando ha capito il sistema italiano, Veith è corso ai ripari e si è fatto assumere dal negozio del fratello. Ma in Italia rischia più un ingenuo che si dimette di un furbo che si fa assumere. (Marco Lillo, Il Fatto Quotidiano)

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