ROMA – Renzi chiederà al Pd di votare la cacciata di Letta. Oggi Direzione decisiva. Se “l’ultimo atto di Letta è uno schiaffo a Renzi” (Stefano Folli sul Sole 24 Ore) oggi il sindaco/segretario restituirà il colpo nella drammatica Direzione Pd convocata alle 15. Voleva essere sfiduciato ufficialmente Enrico Letta, avrà soddisfazione: non è un passaggio parlamentare, ma la deliberazione del partito che si fa carico della responsabilità di Governo.
Impossibile far finta di niente. Mentre proliferano le metafore western sul duello rusticano tra i due contendenti (Pippo Civati parla di far west) ad alto potenziale divisivo (in fondo al tunnel potrebbe esserci due partiti invece che la sospirata luce) il tempo per tentare una difficile mediazione in extremis appare irrimediabilmente esaurito.
Come il compito di Letta a Palazzo Chigi: questo dirà Renzi in Direzione, un documento di fine lavori sul quale il segretario chiederà un voto esplicito per mettere fine ai “giochi al rimpiattino”. “Troppo tardi” si è mosso Letta riconoscono anche dalla minoranza Pd che pure aveva manifestato interesse per il programma “Impegno Italia” sbandierato dal Presidente del Consiglio ormai a tempo scaduto. Con la prosecuzione del duello personale tutto il Partito ci perde in credibilità, dimostrando una volta di più che l’ambizione dei singoli prevale sull’interesse generale.
Da una parte un presidente del Consiglio che usa le istituzioni per il suo tornaconto, dall’altra il calcolo di un segretario più preoccupato di non logorare la sua immagine vincente piuttosto che dell’equilibrio necessario a non spaccare partito e legislatura. La minoranza guidata da Gianni Cuperlo lascia tutto il campo al segretario: deve indicare lui la strada da percorrere, alla luce della requisitoria con cui da settimane ha inchiodato il Governo al suo immobilismo e alla sua inadeguatezza. Sullo sfondo, la durata della legislatura e appunto il rischio scissione.
Alcuni dem intravedono scenari in cui Letta potrebbe mettersi a capo di un nuovo partito. Fioroni ricorda che quando Prodi fu costretto alla staffetta con D’Alema, i prodiani diedero vita all’Asinello. Ernesto Carbone,renziano della prima ora, a bordo della cui Smart Renzi è andato a Palazzo Chigi all’incontro con il premier, attacca: «Il fatto che Letta ora parli di programma senza scadenze dimostra che il suo unico obiettivo è restare a Palazzo Chigi. Altro che i 18 mesi per fare le riforme: le riforme sono naufragate, a rivitalizzarle ci ha dovuto pensare il Pd» (Giovanna Casadio, La Repubblica)
Il fronte del no alle urne (unito sotto le insegne del Capo dello Stato) è compatto: ma proprio l’apertura di Napolitano (Letta o Renzi, basta che duri) ha sottratto alla composita compagine (Ncd, Scelta Civica, i bersaniani) il punto di riferimento obbligato. A questo proposito, la minaccia renziana di far saltare il tavolo per andare al voto è ancora in piedi e si vedrà se il segretario in Direzione assumerà i toni più bellicisti dei suoi o disegnerà un piano di Governo con un orizzonte politico meno angusto di quanto temano i fautori di una legislatura senza scadenze diverse da quella naturale.
Ha dalla sua dei meriti indiscussi: l’accelerazione sulla Legge elettorale laddove una palude ne aveva impedito lo sbocco, l’aggancio ad alcune Riforme di peso per ridurre i costi della politica e rilanciare l’efficacia dell’azione legislativa (leggi la fine del bicameralismo perfetto e la riduzione del Senato a Camera delle Autonomie).L’attivismo di Renzi ha evidenziato la flemma lettiana (che si dipinge come maestro zen): l’opera di demolizione interna ha messo in fila vari scalpi eccellenti, a partire da D’Alema, per proseguire con Fassina e con Letta nel mirino. Lo schiaffo non resterà impunito: il boy scout Renzi non ha nessuna intenzione di porgere l’altra guancia.
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