ROMA – Matteo Renzi ha fatto precipitare la Rai nella confusione, attaccando direttamente non solo l’azienda ma tutto il mondo della tv di Stato italiana, scatenando le reazioni di tanti, guidati dal direttore generale Luigi Gubitosi, tra sindacati sul piede di guerra e minacce di scioperi. Il taglio di 150 milioni ai conti della Rai è una mossa un po’ infame, che fa piacere solo a Berlusconi perché è quasi certo che il taglio non si tradurrà in maggiori economie a parità di prodotto, ma in tagli sul prodotto, sacrificando i pezzi meno protetti e salvaguardando gli appalti meglio referenziati.
La contromossa di Luigi Gubitosi non è proprio edificante. Un capo azienda, quando non va più d’accordo con i suoi azionisti, ha due opzioni: andarsene, come fece, anni e anni fa, un ben più coerente Giuseppe Glisenti dopo soli 100 giorni nella carica di direttore generale; oppure aspettare che lo mandino via. Fino all’ultimo, tuttavia, dovrà restare zitto e non trasmettere ai dipendenti, mille nessuno centomila, quel senso di incertezza che fa solo tanto male all’azienda.
Invece in Rai sta succedendo il contrario e c’è da dire che anche Renzi più che da leader politico e nel caso da azionista di controllo si sta comportando da Masaniello o da Beppe Grillo, con grande gioia di Berlusconi che dal caos in Rai può solo beneficiare.
C’è un muro, scrive su Repubblica Goffredo De Marchis,
“tra Matteo Renzi e il direttore generale della Rai Luigi Gubitosi. L’amministratore di Viale Mazzini lo cerca tutti i giorni e tutti giorni il premier sfugge. «Non è possibile che io non riesca a parlare con il mio azionista. Che ci sto a fare allora?», è lo sfogo registrato da alcuni suoi interlocutori politici.
“Il direttore delle relazioni istituzionaliAlessandro Picardi continua a lavorare per un avvicinamento ma con risultati nulli. Da martedì sera però questo gelo è diventato un problema ancora più serio. […] Chi oggi parla di scontro tra il conduttore e il capo del Governo non ha visto quello che è successo dietro le quinte di Ballarò. Alla fine del programma, un gruppo di cameramen e tecnici ha circondato Renzi, gli ha chiesto conto del taglio. Ne è nato un battibecco con alcuni momenti di tensione chiuso con la macumba lanciata dai lavoratori: «Matteo stai sereno» .
Al settimo piano di Viale Mazzini, dove si trovano gli uffici del direttore generale, non è dispiaciuto questo nervoso incidente diplomatico. Unito alla protesta durissima dell’Usigrai, il sindacato dei giornalisti (“la Rai non è né nostra, né dei conduttori. Ma neanche del premier», ha tuonato il leader Vittorio Di Trapani), apre per un Renzi un nuovo fronte sindacale. E se il premier si rifiuta di trattare con Gubitosi, a Gubitosi prendersi una piccola rivincita per interposta persona.
“Renzi, dopo il voto europeo, vorrebbe aprire il dossier Rai. Il suo obiettivo è una riforma della governance che allontani i partitiattraverso la scelta di un amministratore unico. Il premier ha già in mente l’uomo giusto: Antonio Campo Dall’Orto, ex capo di Mtv, non a caso “parcheggiato” nel consiglio di amministrazione di Poste. Ma una revisione della legge Gasparri è difficilmente gestibile in questo Parlamento. Ecco perché Renzi aspetta, non pensa di sostituire Gubitosi almeno fino alla scadenza naturale (il prossimo anno), lo lascia a lavorare sul piano industriale, e insiste: «Io non sono interessato alle nomine».
Dalla Rai sono arrivate molte offerte in questo senso. Un’ipotesi di promozione a vicedirettore generale di Luigi De Siervo, amico d’infanzia di Renzi, qualche contatto con il “giglio magico” (i fedelissimi toscani di Renzi) sulla sostituzione alle testate regionali e al Gr, scelte poi in autonomia dal dg. Ma i vertici di Viale Mazzini vorrebbero capire se il governo ha intenzione di mettere mano ai pezzi grossi: Tg1, Tg2, Tg3. Il colpo basso dei 150 milioni però ha rotto un equilibrio già precario. Il taglio viene confermato dal viceministro al Tesoro Enrico Morando che immagina uno sconto sul futuro: «Il governo ridurrà l’impatto sulla spending review negli anni successivi».
Il quadro nero è confermato da Paolo Conti sul Corriere della Sera:
“Scontro frontale tra Matteo Renzi e il «partito» Rai. «La Rai non è né dei conduttori televisivi né dei sindacalisti dell’Usigrai. La Rai appartiene ai cittadini che la pagano attraverso il canone e la fiscalità generale» [sono le parole di Matteo Renzi].
“La risposta dell’Usigrai, lo storico sindacato dei giornalisti, è immediata: «Ha ragione Renzi: la Rai non è dei conduttori e non è dell’Usigrai. Ma non è neanche del capo del governo. Che invece vuole decidere cosa la Rai deve vendere o chiudere. La Rai è dei cittadini. A partire da quelli onesti che pagano il canone per avere il servizio pubblico», dice il segretario Vittorio Di Trapani che accusa il premier di aver richiesto i 150 milioni a Viale Mazzini ma di non aver minimamente pensato al recupero dell’evasione del canone «che da solo vale 500 milioni.» Il «partito» Rai si sta comunque organizzando. È in vista, per la prima volta, uno sciopero generale proclamato da tutte le sigle sindacali dei dipendenti (dalla Cgil all’Ugl) con i giornalisti. Però dall’esecutivo arriva un segnale distensivo dal sottosegretario Enrico Morando in Vigilanza: «Nella conversione del decreto Irpef il governo promuoverà una riforma del testo che escluda la Rai dalle società che devono garantire risparmi sui costi operativi del 2,5% nel 2014 e del 4% nel 2015, limitando il contributo ai soli 150 milioni di euro». Sulla linea Renzi, Massimo D’Alema: «Credo che anche la Rai possa dare il suo contributo alla spending review e penso che la proposta di una sua riorganizzazione vada nella giusta direzione».
“Il consiglio di amministrazione di Viale Mazzini esaminerà il tema del possibile ricorso contro la richiesta del governo (appunto, i 150 milioni di euro). Il direttore generale Luigi Gubitosi non sarebbe convinto dello strumento, mentre molti consiglieri (Antonio Verro in prima fila) premono per presentarlo subito. La direzione generale sta studiando la revisione del piano industriale per tagliare spese (tranne l’adeguamento al digitale, ritenuto strategico dall’azienda). E quindi tutto appare possibile: tagli al personale, agli investimenti sul prodotto”.