ROMA – Mario Monti rompe gli argini, perde il controllo e, complice la campagna elettorale lascia partire un colpo: “Angela Merkel non vuole che governi il Pd”. A due giorni dal silenzio elettorale, insomma, il presidente del Consiglio si conferma sopra le righe. Perché mai era successo, neppure nella storia della lotta per i voti, che un premier ancora in carica facesse in qualche modo da ventriloquo al leader di un Paese straniero. Monti, invece, infrange anche questo argine e parlando con la AdnKronos mette in bocca delle parole precise ad Angela Merkel spiegando che il cancelliere tedesco “teme l’affermarsi di partiti di sinistra soprattutto in un anno elettorale per lei, credo che non abbia nessuna voglia di vedere arrivare il Pd al governo”.
Dalle parti di casa Bersani non tremano di paura. Una sortita simile, casomai, rischia di portare persino qualche voto alla coalizione di centrosinistra. Il punto, piuttosto, è il Monti in versione ventriloquo, quello che parla come se fosse Merkel e a Merkel attribuisce dichiarazioni che un capo di Stato straniero mai si azzarderebbe a fare durante la campagna elettorale. Se non ci fosse un rapporto solido con la cancelliera Monti sarebbe persino a rischio di “incidente diplomatico”.
Però la puntualizzazione dalla Germania arriva e non può essere altrimenti. Prima un cinguettio del portavoce di Angela Merkel che su Twitter dice la sola cosa possibile, ovvero che la cancelliera “non si è espressa sulle elezioni italiane e non lo ha fatto neanche in passato”. Poi la smentita ufficiale per bocca della stessa cancelliera che al quotidiano Straubinger Tagblatt dice a chiare lettere: “Spetta agli italiani scegliere il proprio governo ed io non mi mischio in suggerimenti o congetture”.
Suggerimenti e congetture che però si lascia sfuggire quando osserva: “Germania e Italia sono stretti amici e partner, e fino ad ora abbiamo lavorato bene assieme a ogni governo italiano. Noi tutti sappiamo tuttavia, che possiamo affrontare solamente insieme le grandi sfide – per esempio la crisi economica o l’alta disoccupazione givoanile – e le riforme, che l’Italia negli ultimi mesi ha intrapreso, hanno riportato in tutto il mondo la fiducia verso la stessa Italia”.
L’altro aspetto rilevante è quello della metamorfosi completata di Mario Monti. Il professore sobrio del “Salva Italia” cede definitivamente il passo al politico a caccia di voti. Che usa, né più né meno lo stesso linguaggio dei suoi avversari, compreso quel Silvio Berlusconi indirettamente definito “cialtrone” non più tardi di qualche giorno fa. Esempio lampante è quanto succede mercoledì pomeriggio nella redazione dell’AdnKronos, quando Monti spiega che se gli italiani si ostinano per 4 volte a votare Berlusconi la colpa non è del premier ma degli italiani. Così de-responsabilizza se stesso e tutti gli altri partiti incapaci di scalfire quei voti che Berlusconi continua a portare a casa. Soprattutto dà in qualche modo dello sciocco a chi Berlusconi vota per la quarta volta. Basta un passo indietro al 2005: allora Berlusconi sognava la rimonta contro il centrosinistra. E nella bagarre della campagna elettorale disse che era “sciocco” chi votava per questa sinistra. Insomma, stessa situazione.
Ma non c’è solo il linguaggio di Berlusconi. Monti “imita” anche Beppe Grillo, lo stesso Beppe Grillo che, in questi giorni, il professore ha in qualche modo mostrato di stimare. Per qualche motivo il premier è convinto, e lo ha anche detto, che tra il suo elettorato e quello del Movimento a Cinque Stelle ci sia una sorta di contiguità, con il malcontento per la politica tradizionale a fare da trait d’union. Grillo più di una volta gli ha risposto per le rime, ora definendolo “più furbo di Berlusconi”, ora accusandolo di “volerlo rovinare” parlando bene di lui.
Il Monti politico, quello che imbraccia il cane Empy e tira bordate a destra e sinistra, però, non sembra curarsene più di tanto. Su Grillo i commenti caustici sono pochi, scarni e ripetitivi. Non si va oltre il “populista dannoso” d’ordinanza. Poco rispetto al “cialtrone” riservato a Silvio Berlusconi e ai continui attestati di sfiducia nei confronti degli alleati di Bersani.
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