ROMA – No articolo 18. D’Alema 1997: “Un dato di realtà”. D’Alema 2014: “Ideologico”. Sul recente attacco di Massimo D’Alema al presidente del Consiglio Renzi sull’articolo 18 (“Sul lavoro sbaglia”) non vi è chi non veda una contraddizione con quanto l’ex segretario andava affermando a proposito della improrogabilità della riforma del mercato del lavoro. Al punto da autorizzare più di un dubbio se il vero scopo della polemica riguardi il merito della questione e non, piuttosto, gli assetti di potere interni al partito.
D’Alema 2014: “Renzi è in evidente difficoltà nei rapporti con Bruxelles. E sull’articolo 18 è in atto un’operazione politico-ideologica che non corrisponde a nessuna urgenza. Non esiste un’emergenza legata alla rigidità del mercato del lavoro. C’è persino il sospetto che si cerchi uno scontro con il sindacato e una rottura con una parte del Pd per lanciare un messaggio politico all’Europa e risultare così affidabile a quelle forze conservatrici che restano saldamente dominanti. Spero che Renzi si renda conto che una frattura del maggior partito di governo non sarebbe un messaggio rassicurante. Se vuole, è possibile trovare un accordo ragionevole sugli interventi sul mercato del lavoro”. (Corriere della Sera, 28 settembre)
Nel febbraio 1997, Massimo D’Alema si accingeva a diventare segretario degli antesignani dell’attuale Pd sulla base di un marcato profilo riformista laddove contestava il retaggio ideologico che impediva a sinistra e sindacati di prendere atto di una flessibilità che aveva mutato radicalmente il mercato del lavoro.
Massimo D’Alema 1997. “Vedete, la mobilità, la flessibilità, sono innanzitutto un dato della realtà. È il grande problema che si pone a noi, a noi sinistra e non soltanto a noi sindacati. È se questa società più aperta debba inesorabilmente portare con sé solitudine, insicurezza, angoscia. Oppure se non sia il caso che noi, rinnovando profondamente gli strumenti della negoziazione e della contrattazione sociale, costruiamo nuove e più flessibili reti di rappresentanza e di tutela.
Se noi non ci mettiamo su questo terreno, noi rappresenteremo sempre di più soltanto un segmento del mondo del lavoro. Ecco, io penso che noi dovremmo preferire essere con quei lavoratori del lavoro nero, del lavoro precario, del sottosalario. E negoziare quel salario, e negoziare i loro diritti anziché stare fuori dalle fabbriche con in mano una copia del contratto nazionale di lavoro”.
Sembra di ascoltare la medesima retorica renziana. Oggi come allora è con la Cgil che il confronto diventa infiammabile, ieri Cofferati, oggi Camusso. Ieri D’Alema spiegava a muso duro al leader della Cgil semplicemente quanto fosse “chiuso” il suo no a prescindere sull’articolo 18. Prima di capitolare su tutta la linea quando 5 anni dopo Cofferati avrebbe riempito con i famosi tre milioni piazza San Giovanni. Oggi “ideologico”, aggettivo che suona come una condanna, vale per Renzi. Nel 1997 valeva per il fronte opposto, nel 2014 riscopre i Quaderni dal Carcere di Antonio Gramsci per dichiarare Matteo Renzi “istruito” dal nemico (leggi Berlusconi-Verdini).
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