ROMA-Giovedì 3 febbraio 2011 sarà un giorno a suo modo memorabile per il Parlamento italiano, un giorno unico e mai visto finora, un giorno in cui il Parlamento voterà e probabilmente approverà a maggioranza una bugia sapendo che di bugia si tratta. Si voterà non su qualcosa che poi si scoprirà essere una bugia, questo capita ai Parlamenti. E neanche su una verità dimezzata o oscurata per ragioni di Stato, questo ai Parlamenti spesso spetta e compete. No, giovedì 3 febbraio il Parlamento italiano voterà e probabilmente, quasi sicuramente, approverà una bugia che tutti sanno da settimane essere una bugia, tutta una bugia, niente altro che una bugia.
Il Parlamento italiano voterà e approverà a maggioranza cosa? Che Silvio Berlusconi quando telefonò e ritelefonò nella notte del 27/28 maggio 2010 alla Questura di Milano per invitare e consigliare il funzionario Ostuni a rilasciare una ragazza senza documenti, fermata dopo una lite in strada e una accusa di furto in casa di un’amica, agiva da premier nelle sue funzioni di Stato. E perché un premier nelle sue funzioni di Stato telefonava, intercedeva per quella che poi sarà per tutti Ruby Rubacuori, allora minorenne marocchina e in precedenza più volte ospite a casa del privato cittadino Silvio Berlusconi? Perchè il privato cittadino Silvio Berlusconi in una di quelle serate era stato informato dalla stessa Ruby di essere egiziana, maggiorenne e soprattutto nipote di Mubarak. Il privato cittadino Silvio Berlusconi ci aveva creduto e aveva trasferito l’informazione al premier Silvio Berlusconi nelle sue funzioni di Stato. Che quindi telefonava in Questura per evitare un incidente diplomatico con L’Egitto. Telefonava dunque non in aiuto di una sua privata conoscente e amica ma in soccorso dello Stato e dell’interesse nazionale minacciato dalla circostanza di una nipote di Mubarak arenatasi in una Questura italiana. Una bugia: palese, conclamata, evidente. Perfino confessa.
Il primo a demolire la bugia che poi verrà è infatti Silvio Berlusconi. All’indomani della pubblicazione della notizia delle telefonate in Questura il premier, nella doppia funzione di privato cittadino e di uomo di Stato, pubblicamente dirà alla stampa e alle televisioni italiane: “E’ stato un atto di buon cuore per una persona che ne aveva bisogno”. Quel giorno Berlusconi non dice di essere intervenuto per ragion di Stato, non rivela l’equivoco della nipote di Mubarak, la sua buona fede carpita, il suo essersi mosso a buon fine per il pubblico e non privato interesse. Al contrario rivendica il suo “buon cuore” e aggiunge: “Non cambio il mio stile di vita”. Quindi è Berlusconi e non altri a dire al paese che ha aiutato la ragazza perché “bisognosa” rivendicando la sua attitudine ad aiutare chi è stato ospite a casa sua. Seguiranno settimane in cui tutti gli esponenti del partito del premier rilasceranno pubbliche dichiarazioni di comprensione e minimizzazione della trovata-espediente della “nipote di Mubarak”. Tutto il Pdl dirà per settimane che era stata una formula inventata al momento per dare corpo e anima al “buon cuore”. Nessuno mai per settimane nel partito del premier dirà mai che quella notte Berlusconi ci credeva davvero. E niente di simile dirà ufficialmente in Parlamento nella sua ricostruzione dei fatti il ministro degli Interni Maroni. Che dirà della “nipote di Mubarak” ma non dirà mai al Parlamento che questa era la ragion di Stato dietro e sotto le telefonate del premier. Da quell’intervento di Maroni in Parlamento il Parlamento sa che la “nipote di Mubarak” è stata una frase pronunciata al telefono e non una ragion di Stato. Lo sa da allora, ma giovedì 3 febbraio se ne dimenticherà, volutamente e scientemente se ne dimenticherà.
Per settimane la stampa, i giornali e i commentatori del centro destra, lo schieramento di Berlusconi, scriveranno e qualificheranno quella della “nipote di Mubarak” come una trovata, un’arguzia. Mai per settimane il premier sentirà il bisogno di correggere. Per settimane la difesa e l’autodifesa del premier inviterà a non farla lunga e pensosa su una “goliardata” del premier al telefono. Mai nessuno sentirà il bisogno di spiegare al paese che era stata una mossa di Stato motivata dal fatto che Berlusconi ci credeva davvero alla nipote di Mubarak.
Mai fino a che la Procura di Milano non invierà agenti di polizia a perquisire l’ufficio di Giuseppe Spinelli, l’uomo che effettuava pagamenti documentati e non contestati alle ragazze ospiti delle serate ad Arcore. Spinelli, su consiglio degli avvocati del premier, sbarrerà il passo alla perquisizione con l’argomento che l’ufficio è “pertinenza” dell’onorevole Silvio Berlusconi e quindi non perquisibile senza l’assenso del Parlamento. Allora la Procura che indaga per concussione e prostituzione minorile invierà le carte dell’indagine al Parlamento, più esattamente alla Commissione per le autorizzazioni a procedere. Dove la maggioranza di centro destra, su consiglio degli avvocati del premier, elaborerà la storia della “nipote di Mubarak” come ferma convinzione di Silvio Berlusconi e del suo intervento in Questura per ragioni di Stato. E lo farà, per dichiarazione esplicita del relatore del Pdl in Commissione, per consentire il rinvio degli atti alla Procura, rinvio motivato dal fatto che Silvio Berlusconi telefonante in Questura era in quel momento nella “funzione di premier”. Quindi giudicabile solo dal Tribunale dei ministri e non dalla Procura di Milano.
Su questo giovedì 3 febbraio al Parlamento italiano si vota e con tutta probabilità il Parlamento italiano voterà a maggioranza che la bugia che tutti conoscono è verità. Verità che se fosse tale attesterebbe che una ragazzina senza arte nè parte è in grado di trarre in inganno il premier. Ma questo è dettaglio trascurabile per il Parlamento: la bugia votata come verità serve a trovare al premier altro giudice diverso da quello che su di lui indaga. Giovedì 3 febbraio il Parlamento italiano mentirà a se stesso sapendo di mentire. Un giorno memorabile. Nello stesso giorno lo stesso Parlamento in una Commissione bicamerale voterà un pezzo importante di una grande riforma amministrativa e fiscale: il federalismo a livello comunale. Da questo voto dipende la sopravvivenza del governo Berlusconi e la possibilità o meno che l’Italia vada ad elezioni anticipate. Governo che, se se la cava sul federalismo, resterà salvato e appeso dalla e alla bugia della “nipote di Mubarak”.
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