ROMA – Pd in panne: Renzi e Bersani sono ai ferri corti e dopo l’esclusione di Renzi dai Grandi Elettori, si profila il rischio di scissione. Si profila perché il Pd è sempre più diviso tra bersaniani e renziani (e le file di questi ultimi si stanno allargando sempre più). Ed è un rischio reale se anche il vicepresidente del Pd, Dario Franceschini dice: “Sì, per la prima volta sono preoccupato per il rischio scissione nel Pd, sarebbe un dramma non per il Pd ma per il Paese”. Ma Bersani, dalla sua, mantiene un aplomb contenuto: “Non abbiamo problemi di questo genere”, dice ai giornalisti. E chissà se lui ci crede veramente.
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Le divisioni nel Pd sono note da tempo, ma si vanno esacerbando e facendo più nitide. Da una parte ora c’è la linea del “piano A” di Bersani che, ostinatamente per alcuni, chiede un governo di minoranza, in cui fare riforme istituzionali con tutti, e si sta giocando il tutto per tutto con la partita del Quirinale. Dall’altra parte c’è una vasta area, dai renziani ai veltroniani ognuno con dei distinguo, che chiede invece un governo di larghe intese, che faccia poche riforme ma buone (in primis quella della legge elettorale) e che traghetti tutti al voto in sei mesi.
La posizione di Renzi e dei suoi è quella più estrema di quest’area del Pd: vogliono il voto subito, anche con il procellum. Il sindaco di Firenze lo dice chiaramente in un’intervista al Messaggero: “A questo punto si torni a votare anche con il Porcellum. Odio i partitini personali e credo nel bipolarismo: nel centrosinistra chi è di centrosinistra e nel centrodestra chi è di centrodestra”. E poi aggiunge: “Se qualcuno nel Pd spera che io vada via, si sbaglia”.
Eppure, c’è più di uno, anche dentro al Pd, pronto a scommettere che un “Big bang” sia vicino. E secondo cui l’ultimo attrito tra Renzi e Bersani, appunto la mancata nomina del sindaco di Firenze fra i grandi elettori della Regione Toscana, non è altro che il campanello d’allarme di una situazione che rischia di precipitare presto. E se anche Gianluigi Pellegrino su Repubblica, certo non un uomo di destra, stigmatizza la faccenda, c’è da preoccuparsi.
D’altronde Renzi non fa niente per evitarlo e, soprattutto negli ultimi giorni, non fa altro che attaccare Bersani su tutta la linea. Salvo poi però dire: “Io non me ne voglio andare”. Ovviamente, il suo primo progetto, anche se non detto chiaramente ora, è di succedere a Bersani, diventare leader del Pd e guidare il partito alle elezioni. Ma nel caso le vicende interne non dovessero andare così e lui continuasse ad essere marginalizzato nel Pd, Renzi potrebbe pensare di uscire (anche se lui pubblicamente lo esclude) e magari entrare in quel progetto di Democrazia cristiana dal colore verde a cui sta lavorando Flavio Tosi.
La parziale conferma la danno sia dal presidente della Toscana, Enrico Rossi, che da Tosi. Il primo parla della querelle Renzi-Bersani sull’esclusione dai grandi elettori e, dopo aver negato di aver ricevuto ordini da Bersani in questo senso, dice: “Bisogna avvertire Renzi che sono passati i tempi in cui una telefonata del segretario del partito era in grado di bloccare la più grande operazione urbanistica di Firenze, come successe nell’era di Occhetto. Ora le vicende locali si decidono a livello locale”.
Dall’altra parte Tosi in un’intervista a La Stampa dice: ”Con Renzi nel Pd e non più Berlusconi nel centrodestra” si potranno ”fare le riforme fondamentali di cui l’Italia ha bisogno”.
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