ROMA – La riforma costituzionale di Matteo Renzi è l’esito coerente di trent’anni di svuotamento crescente dei poteri del Parlamento, di fatto sempre di più esautorato nel processo legislativo, processo che peraltro non si è velocizzato né è diventato più efficiente.
Colpa di vizi che la riforma renziana non cura:
il ricorso eccessivo ai decreti legge che intasano i lavori parlamentari (vanno convertiti in legge entro 60 giorni e sono troppi per poterne discutere con criterio);
il ricorso eccessivo alla fiducia che scavalca il Parlamento;
la pessima qualità dei provvedimenti emanati, non di rado poi bocciati dalla Corte costituzionale.
Finisce che di leggi se ne fanno troppe a “dettare legge” – ovvero ad elaborare i testi che diventeranno decreti e disegni di legge – sono in troppo pochi. La scarsa discussione riduce gli spazi di democrazia, riduce lo spazio di manovra dell’opposizione, riduce la qualità delle leggi.
Semplificare tagliando fuori il Senato e dando ancora più poteri al governo, nella direzione di un presidenzialismo strisciante, non risolve questi problemi, cambia radicalmente lo spirito parlamentarista della Costituzione, attua secondo i maliziosi il “Piano di rinascita democratica” di Licio Gelli.
Il “merito” di Renzi è attuare il programma che Berlusconi voleva realizzare prima di essere travolto dal bunga bunga: la “dittatura del premier”, al quale non pochi già allora (2008-09) guardavano con preoccupazione.
Qualche anno e tre governi di larghe intese più tardi, Sandra Bonsanti, guida di Libertà e Giustizia, lancia l’allarme: è una svolta autoritaria, così si uccide la carta del 1948, in nome di una nuova “Costituzione di Boschi e Verdini”.
Questo è un governo che nasce su un vizio elettorale chiamato Porcellum, creato su una presunta emergenza e riformato strada facendo. Sicuramente è questione di larghe intese. […] A sentire i toni ci sono due leader, uno si chiama Matteo Renzi, l’altro Silvio Berlusconi. Che appena vede muoversi qualcosa che non è di suo gradimento parla di patti traditi. Piacerebbe sapere che patti siano. Ufficialmente per una legge elettorale: l’evidenza delle cose ci dice che non è solo quello. L’accordo è quello di prendere e buttare mezza Costituzione nel cestino. Mi chiedo se alla fine cambieranno anche la firma, che non sarà più quella di Enrico De Nicola, Umberto Terracini, Alcide De Gasperi. Probabilmente la firmeranno Boschi e Verdini. O Renzi e Berlusconi. Quello che ci preoccupa è il disegno che muove i passi molto prima di ieri o l’altroieri. […] Quando JP Morgan dice che è obsoleta la nostra Carta costituzionale invita a nozze le larghe intese, offre il pretesto per parlare di riforme. Poche settimane dopo, Enrico Letta inizia l’accelerazione, oggi tocca a un terzo dell’intera Costituzione. Poi toccherà magari all’autonomia della giustizia, all’articolo 101. E tutto nel silenzio assoluto. Loro dicono di aver ascoltato tutti. […]
Da voi è venuto nessuno?
No. Avranno ascoltato le associazioni che fanno riferimento a Luciano Violante, Franco Bassanini e Gaetano Quagliariello. Non siamo stati ascoltati da nessuno. Solo dal Fatto Quotidiano. […] Io navigo tra la depressione e la rabbia. Credo che prevalga la seconda ragione. Tutti lì a spargere lacrime sul film che Veltroni ha dedicato a Enrico Berlinguer, ma per come l’ho conosciuto io, Berlinguer si sarebbe fermato già alla forma, alle parole molto fuori luogo. Cosa vogliono dire questi quando “manderanno a casa tutti”? Che sconfiggeranno gli “uccelli del malaugurio”, “i gufi”. Inaccettabile. […] Quando De Gaulle, e non Renzi, mise mano alla Costituzione chiese il parere due volte attraverso un referendum consultivo. Due volte. […] Siamo passati da una Repubblica parlamentare al semipresidenzialismo.
Sempre sul Fatto Quotidiano, Luca de Carolis dà voce alle perplessità dei costituzionalisti, preoccupati dalla propaganda renziana sulla “velocità” che mal si abbina con un intervento complesso come una riforma costituzionale:
“Renzi procede con irruenza, senza scorgere la direzione verso cui procede. Una buona riforma costituzionale non si fa velocemente, e i maggiori poteri andrebbero dati al Parlamento, non certo all’esecutivo”. Gaetano Azzariti, professore di Diritto costituzionale all’università La Sapienza di Roma, è uno dei firmatari dell’appello di Libertà e Giustizia “contro il progetto di stravolgere la Costituzione”. Ieri si sono aggiunte altre firme: Rosetta Loy, Corrado Stajano, Giovanna Borgese, Alessandro Bruni, Sergio Materia, Nando dalla Chiesa, Adriano Prosperi e Fabio Evangelisti.
Anche per Azzariti il pericolo è quello di una svolta autoritaria:
“La storia italiana ci ha insegnato quanto sia pericoloso l’effetto slavina: si inizia da una piccola frana, ovvero da una piccola riforma costituzionale, e poi si arriva a una valanga che travolge l’intero sistema. Lo conferma il fatto che siamo passati rapidamente dall’ipotesi di una nuova legge elettorale alla riforma del Senato e del Titolo V. E in questi ultimi giorni abbiamo letto di proposte che toccano anche la forma di governo, come quella sul premierato forte. Il ministro per le Riforme Boschi ora smentisce. Pare invece che nella bozza di riforma ci sia la ghigliottina sui provvedimenti, cioè l’imposizione di un termine 60 giorni per varare i ddl del governo, pena la loro votazione senza modifiche… Anche questo è un tentativo di limitare ulteriormente la voce del Parlamento. Se abbiamo un problema di crisi costituzionale è che negli ultimi 20 anni le Camere hanno contato sempre meno. Una buona riforma dovrebbe estendere i poteri del Parlamento, il contrario di quello che si tende a fare. La ghigliottina non è solo una metafora: è un modo di tagliare la testa al dibattito, una fiducia rafforzata, in un Paese dove il ricorso al voto di fiducia è assolutamente eccessivo.
Nella Direzione del Pd, Renzi ha sostenuto: “I cittadini non amano questo eccesso di livelli di governo. E poi mille parlamentari sono troppi”.
Si vuole scaricare sulla Carta la profondissima crisi della politica e del sistema dei partiti, della classe dirigente. Le Costituzioni hanno l’ambizione di limitare i poteri: capisco che questo ad alcuni poteri dia fastidio.
Il taglio della Province non è utile?
Il vizio principale di questo testo di riforma nasce dal fatto che l’unica logica è quella di tagliare le teste ai senatori e ai consiglieri provinciali. Ma la Carta pretende che innanzitutto si ragioni di funzioni: nessuno mi ha spiegato a chi andrebbero date quelle delle Province. E poi c’è il tema del Senato: vorrei sapere cosa se ne vuole fare. Renzi però insiste e va di corsa.
Le pare un uomo forte, o un uomo che prova a diventarlo?
Io spero che sia più attento alla Costituzione. Questa sua irruenza, questa sua volontà di velocità nel cambiamento, gli impedisce di vedere la direzione in cui procede. Per fare una riforma costituzionale di qualità non bisogna essere rapidi. E questo lo dimostra anche il continuo mutare della bozze, segno evidente della debolezza di questo progetto. La Costituzione ha bisogno di aggiustamenti? Come spiegava Leopoldo Elia, un costituzionalista raffinato, il vero tema è sempre quello dell’equilibrio dei poteri. Negli ultimi anni c’è stato un forte squilibrio a favore del governo, a colpi di voti di fiducia e maxiemendamenti, che va compensato. Bisogna ripartire dalla razionalizzazione della forma di governo, come sosteneva già il giurista Perassi nell’Assemblea costituente.
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