SASSARI – Arturo Parisi, dopo avere detto con fermezza di non avere la minima intenzione di candidarsi a Presidente della Regione Sardegna, è tornato sul tema con una intervista raccolta per la Nuova Sardegna di Sassari da Luca Rojch.
Dove Parisi approfondisce il tema della candidabilità di un inquisito, almeno in apparenza ribaltando l’impostazione della sinistra che ha quasi sempre optato per il passo indietro dai suoi esponenti sotto processo.
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All’origine c’è il ritiro cui il Pd ha costretto la candidata scelta dalle primarie, Francesca Barracciu, coinvolta in un’inchiesta della Procura della Repubblica di Cagliari sull’impiego dei rimborsi regionali ai partiti.
Le primarie per scegliere i candidati sono nate a Bari e moriranno ad Oristano? Così Parisi ha risposto alle domande di Rojch:
La svolta drammatica di Oristano segna la morte delle primarie?
«Riconosco che il colpo subito è stato pesante. Ma per parlare di morte ci vuole ben altro. Fortunatamente. Dal gennaio del 2005, quando per la prima volta la proposta ulivista fu sperimentata in Puglia affidando la scelta del candidato alla presidenza della Regione direttamente al voto dei cittadini, le primarie non hanno mai smesso di avanzare. Per la Regione, questa sarebbe stata in Sardegna la prima volta, e allo stesso tempo la prova che i capi partito, che qua operano a livello regionale, avevano veramente capito che era il momento di passare la mano ai cittadini. La soluzione di una difficoltà reale è stata spostata oltre il termine massimo col risultato che il potere che era stato riconosciuto ai cittadini è finito per tornare di nuovo nelle mani dei capicorrente».
Il potere ai notabili… non sembra un grande risultato l’esito del caso-Barracciu. È vero anche, però, che ci sono delle ragioni di opportunità politica nella scelta di accantonare la candidata scelta dai votanti alle primarie.
Mentre per l’attuale presidente Ugo Cappellacci non è un problema restare in sella e ricandidarsi pur essendo pluri-indagato, perché al suo elettorato non fa né caldo né freddo, è diversa la situazione a sinistra: il Pd sardo non scoppia certo di salute e il caso-Soru nel 2009 insegna che candidarsi avendo il partito contro non porta bene:
Il passo indietro della Barracciu secondo lei era necessario?
«Io sto a quello che ha detto. Che reggere non le era più possibile. Che per un candidato andare come nel 2009 alle elezioni contro il proprio partito non le sembrava accettabile e, come allora, sarebbe stato alla fine perdente».
Poi Parisi arriva al punto centrale, la questione che travalica i confini delle lotte politiche isolane: conta di più l’avviso di garanzia di un pm o la volontà espressa dagli elettori col voto delle primarie? La risposta non è facile. Vent’anni dopo Mani Pulite, è difficile cancellare l’equazione indagato=condannato, che è diventata largamente maggioritaria fra chi legge i giornali e segue la politica.
Da un lato c’è un Berlusconi che, anche da carcerato, riuscirebbe a conquistare il consenso di chi vota centrodestra. Dall’altro lato c’è una sinistra succube di un giustizialismo che poi tanto di sinistra non è. Parisi si mantiene su un filo sottile, fra il garantismo e l’opportunità politica:
Anche tutti gli altri indagati devono fare un passo indietro ed essere esclusi dalla liste?
«Questo potrebbe essere certo l’esito inevitabile per chi ritiene che chiunque sia coinvolto in una indagine debba immediatamente sospendersi dal suo ufficio, e da ogni candidatura. Ma sarebbe la fine. Si salverebbero veramente in pochi. La quantità di persone coinvolte sarebbe innumerevole. Dobbiamo imparare a stare alla legge che considera condannati i condannati non i semplici indagati, e considerare normale che ognuno, cominciando da chi riveste cariche pubbliche, sia chiamato a dare subito conto di ogni suo comportamento e dell’uso delle risorse».
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