ROMA – In quarant’anni lo stipendio annuo lordo di un assistente parlamentare può lievitare anche di diverse centinaia di migliaia di euro fino ad arrivare a misurare ben 4 volte quello di uno statale. Stipendi rimpolpati al Senato. Come quello dei commessi, che può crescere da 38.059 a 159.729 euro moltiplicandosi per 4,2 volte. O come quello dei coadiutori da 46.678 a 192.446. Quello dei segretari invece da 56.766 a 255.549. Quello degli stenografi da 67.390 a 287.422. Ma il top spetta ai consiglieri parlamentari, la cui retribuzione può passare da 85.415 a 417.037 euro, lievitando di quasi cinque volte. Ma i dipendenti del Senato sono sul piede di guerra in quanto temono vengano tolti loro gli scatti automatici in busta paga aboliti per tutti gli altri impiegati pubblici 20 anni fa. Automatismi che, come riportano Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella per il Corriere della Sera, ancora oggi consentono a Palazzo Madama, nell’arco della carriera, perfino di quintuplicare lo stipendio al di là del merito. E di guadagnare mediamente 149.300 euro: oltre il quadruplo di uno statale medio italiano.
Dal 2008 al 2011 inoltre la spesa per le pensioni del personale del Senato è salita da 82.584.082 a 98.842.943 euro: un’accelerazione mostruosa, del 19,7%. Nei prossimi anni l’andazzo è previsto sugli stessi ritmi. Lo dice il bilancio preventivo del 2012 approvato all’inizio di agosto.
Mentre la spesa per il personale dipendente (tolto quello a tempo determinato) dovrebbe diminuire di circa 2 milioni 560 mila euro, fermandosi a 131 milioni 970 mila euro, la spesa per le pensioni salirebbe invece a 106 milioni 850 mila euro. Rizzo e Stella spiegano che tutto ciò significa che negli anni in cui il Pil pro capite degli italiani calava (dati Istat) del 6,5% e la vendita delle auto crollava ai livelli del 1983, la bolla previdenziale di Palazzo Madama si gonfiava del 29%. E continuerà a gonfiarsi fino a 109 milioni nel 2013 e quasi 112 nel 2014.
Rizzo e Stella quindi cercano di spiegare il perchè:
Ma i meccanismi che hanno portato alla situazione attuale sono diventati palesemente insostenibili. Basti ricordare che l’automatico rinnovo dei contratti interni, disdettato dalla maggioranza di centrosinistra nell’infuriare delle polemiche sui costi del Palazzo e subito ripristinato per quieto vivere dalla destra dopo le elezioni vinte nel 2008, ha fatto lievitare il peso del personale (stipendi e pensioni) fino al 43,31% dei costi del Senato. Assurdo.
Sinceramente: è difendibile un meccanismo come questo? Questo pomeriggio, quando si ritroveranno all’assemblea convocata dalla Cgil per denunciare la minaccia che siano toccati quei meccanismi automatici di progressione degli stipendi, sarebbe un peccato se i dipendenti del Senato alzassero le barricate. E guai se lo facesse, per rastrellare consensi, qualcuno dei 14 (quattordici!) sindacati autonomi interni. Credono davvero che se si asserragliassero in cima a una gru o nel pozzo di una miniera per difendere i loro diritti acquisiti così gli italiani capirebbero?
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