Il Tar boccia le linee guida della Regione Lombardia sull’aborto. Quelle linee guida promosse nel 2008 dalla Giunta Fromigoni che prevedevano che l’interruzione volontaria di gravidanza fuori dai primi 90 giorni, in caso di grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna, non potesse essere effettuata oltre la 22ª settimana più 3 giorni (dopo la quale presumeva la possibilità di vita autonoma del feto), e imponevano al ginecologo di avvalersi di altri specialisti.
Ora il Tar annulla quelle linee guida dichiarando “illegittima l’intera disciplina impartita dalla Regione” per contrasto con la legge statale 194. A ricorrere al Tar, facendo leva sull’articolo 117 della Costituzione che riserva alla competenza legislativa dello Stato la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili o sociali da garantire su tutto il territorio nazionale, erano stati 8 medici con la Cgil della Lombardia, rappresentati dagli avvocati Vittorio Angiolini, Ileana D’Alesso e Marilisa D’Amico.
La bocciatura da parte del Tar verte su tre considerazioni. La prima: “sarebbe del tutto illogico permettere che una materia tanto sensibile» come l’aborto, “possa essere disciplinata differentemente sul territorio nazionale, lasciando che siano le Regioni a individuare, ciascuna per il proprio territorio, le condizioni per l’accesso alle tecniche abortive”.
Poi due considerazioni più prettamente tecniche. Prima di tutto il Tar boccia le linee guida di Formigoni laddove, nel caso in cui la madre non sia in pericolo di vita, ammettono l’aborto terapeutico solo se vi è impossibilità di vita autonoma del feto, e cioè se non ha raggiunto un grado di maturità tale da consentirgli, una volta estratto dal grembo materno, di completare il suo processo di formazione. Mentre infatti la legge statale 194 non fissa un termine oltre il quale presumere che il feto sia in grado di condurre vita autonoma, e lascia che ad accertarlo siano caso per caso i medici, la Lombardia individua invece un termine (22 settimane e 3 giorni) oltre il quale si deve presumere che il feto possa avere vita autonoma. Ma così la Lombardia, osserva il Tar, “contravviene alla chiara decisione del legislatore nazionale (non frutto di una svista, ma al contrario scelta precisa, consapevole e ponderata) di non interferire in un giudizio volutamente riservato agli operatori” per “non imbrigliare in una disposizione legislativa parametri che possono variare a seconda delle condizioni sempre diverse», e «soprattutto del livello raggiunto dalle acquisizioni scientifiche e sperimentali in dato momento storico”.
Inoltre il Tar dichiara “l’illegittimità di tutta la disciplina impartita dalla Regione” anche per quanto riguarda quelle disposizioni regionali che imponevano che il certificato medico che diagnosticava i gravi pericoli alla salute della donna fosse redatto da almeno due ginecologi, e firmato dal dirigente della struttura per presa visione.
Dura la risposta del governatore Formigoni: ”Dopo la sentenza del Tar tutto rimane come prima negli ospedali lombardi, perchè le pratiche contestate dal Tar sono di puro buon senso e coerenti con le scoperte scientifiche degli ultimi anni. Tali pratiche sono gia’ state adottate spontaneamente da anni dai ginecologi negli ospedali lombardi e continueranno a essere utilizzate”.
”Infatti, sbagliando, il Tar sostiene di aver annullato le linee guida – prosegue il presidente -. In realtà, l’atto della Lombardia era e resta un atto di indirizzo tutt’ora valido. La differenza è sostanziale perché con l’atto di indirizzo non si impone una disciplina, ma si indicano a tutti gli ospedali lombardi le migliori pratiche definite in accordo con i migliori professionisti che operano in Lombardia, anche di diverso e opposto orientamento politico”