E ora? Ora arrivano le “tasse della Lega” e le “riforme di Silvio”

 

Bossi mette le mani in faccia ad Alberto da Giussano

 

E adesso che succede? Adesso, tempo massimo tre anni, arrivano le “tasse della Lega”. Si chiama federalismo fiscale e come funziona lo ha sintetizzato e spiegato uno degli “eroi” leghisti del voto, il neo Governatore del Veneto Luca Zaia: “Le tasse che mandiamo a Roma adesso resteranno in mano nostra”. Ogni Regione, ogni “territorio” prenderà il controllo diretto sulle proprie finanze, su entrate e spese. Se ne chiacchiera da tanto, è perfino scritto in forma di legge, ma adesso si farà davvero: Bossi e la Lega lo imporranno, la gente del Nord lo vuole, presto l’idea piacerà anche fuori e oltre la “padania”.

E che succederà quando finalmente arriveranno le tasse “made in Lega”? Dovrebbe a rigor di logica accadere che ogni Regione, “territorio” e comunità di cittadini e abitanti diventa per forza di cose responsabile diretta degli “incassi” ma anche degli “ammanchi”. Responsabili e destinatari del profitto ma anche del debito. Insomma se i soldi ci sono si fa festa, se non ci sono si stringe la cinghia. Anche, anzi soprattutto a livello di Regione, “territorio”, comunità. Non è questo però quello che aspettano che succeda coloro che hanno votato Lega e quelli che ancor di più la voteranno, non è questa la “percezione” diffusa e narrata del federalismo fiscale. L’idea secondo cui si vota e da domani si governa è altra: con le “tasse della Lega” tutti ci guadagneranno, tutti avranno di più finalmente nelle loro tasche. E’ come sostenere che se si divide un chilo in dieci etti, ciascuno dei dieci etti peserà più di cento grammi. Non ha senso, neanche un po’. Eppure ha consenso, a tonnellate.

Poi, più o meno contemporaneamente, arriveranno le “riforme di Silvio”. Poco o nulla “condivise” nonostante gli appelli di Napolitano. Qualunque sarà la forma del “presidenzialismo” a venire, l’idea, anch’essa vincente e votata, è che un uomo, un potere “forte” terrà fuori dall’uscio di “Casa Italia” ospiti invadenti e molesti: la concorrenza internazionale, la globalizzazione, il rialzo dei tassi… Ancora Zaia: “Fermeremo i cinesi con i dazi commerciali”.

Dunque l’Italia che vince quando vota chiede, reclama “esenzione”. Vuole essere esentata dal tosto problema di produrre altro da ciò che oggi produce e dal doverlo produrre con minor costi. Esentata dal costo della exit strategy dalla crisi, cioè dal costo del rientro dal debito pubblico. Esentata dal dover convivere con un elenco di fatti e non di opinioni steso dal giornale della Confindustria e non da Bersani o Di Pietro.

Ecco l’elenco: per i prossimi tre anni almeno le tasse non si possono abbassare, gli investimenti non potranno crescere perché resterà difficile ottenere credito dal sistema bancario, non si potrà mantenere in piedi un sistema previdenziale che non mandi la gente in pensione dopo e non prima dei 65 anni, non si potrà continuare a finanziare consenso e reddito di centinaia di migliaia di persone con la spesa sanitaria, non si potranno costruire tutte insieme autostrade, ferrovie e Ponte sullo Stretto, non rientreranno subito e tutti al lavoro il milione e passa che il lavoro l’hanno perso, non ci sarà sviluppo collettivo e individuale con una scuola e università che non forma e non seleziona, non si può stare sui mercati con un debito del 120 per cento del Pil. L’esenzione è una richiesta di massa, è un “leghismo” che fa grande la Lega ma che è perfino più forte della Lega. Al posto delle risposte troppo difficili da dare l’Italia che vince quando vota chiede o ottiene le “tasse della Lega” e le “riforme di Silvio”.

Solo il Nord? Tutt’altro: l’Italia che vota è un gigantesco e variegato “Tea Party” contro l’insopportabile e molesto “governo dei fatti”. Chiedono di essere esentati dalla rinuncia alla spesa pubblica come principale fonte del reddito i napoletani e i campani che affidano la missione di aprire ancor di più i rubinetti del denaro di Stato a Ciriaco De Mita, Clemente Mastella, Giulio di Donato. Chiedono di essere esentati dalla fatica della modernità i no Tav che votano per Beppe Grillo. Chiedono in fondo di essere esentati dalla realtà coloro che candidano a leader della sinistra che verrà Nichi Vendola, vincitore in Puglia e leader di un partito che a livello nazionale non vale il due per cento dell’elettorato. E chiede di essere esentato dal peso della politica il Pd, tutto il Pd, che da anni carezza, alleva, coccola, ascolta e insegue i vari “popoli anti Berlusconi” che, per essere fino in fondo anti-premier, mai e poi mai votano Pd.

Un “Tea party” contro la contemporaneità e contro i fatti così come sono: vi partecipano i nuovi astensionisti, quelli che non votano per “delusione” e i nuovi convinti leghisti e i “grillini” e i “vendoliani” e i “dipietristi” duri e puri. Tutti quelli che insomma in queste elezioni hanno stravinto, oppure solo vinto o comunque presidiato il loro territorio politico e sociale. Tutti insieme, uniti solo e soltanto dalla voglia di essere “esentati”, fanno tra il 35 e il 40 per cento dell’elettorato. E cresceranno: la Lega varca il Po e discende per l’Appennino, “leghismi” latenti si intravedono a Roma, leghismi si manifestano in Sicilia e presto, a loro modo, qualcosa di analogo faranno in Campania e Calabria. Crescono, spuntano anche nelle forme più impensate: a L’Aquila il “popolo delle carriole”, quelli che a torto o ragione sono scontenti di come va per loro il dopo terremoto, cosa fanno? Votano contro il governo? No, non vanno a votare.

Di questo gigantesco e variopinto “Tea party” Silvio Berlusconi resta l’intrattenitore principe e il “padrone del giardino”. Hanno ragione gli uomini del Pdl: l’Italia è il solo paese europeo ed occidentale dove la figura del premier è così amata ed accettata da “esentare” chi governa della “punizione elettorale di medio termine”. Dovunque altrove, governi la destra o la sinistra, se c’è crisi e incertezza economica chi governa paga. In Italia no, in Italia Berlusconi gode di sostanziale immunità elettorale. Ma d’ora in poi succede una cosa nuova: Berlusconi principe e padrone ci mette le tazze e i cucchiaini e perfino lo zucchero del suo “charme”, però la miscela del the  servito la sceglie e la fornisce Bossi. E quindi che succede? Che fioriranno cento Leghe al motto di “Esentati di ogni tipo e natura, moltiplicatevi e sparpagliatevi”.

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