Ogni sera i Tg raccontano che nelle terre e nelle tende del terremoto tutto va bene, se non fosse per questo maledetto caldo, comunque, annuncia “l’inviato”, ci sono i condizionatori e la telecamera inquadra… Nessuna cronaca ha però raccontato la seduta della giunta comunale de L’Aquila del 12 maggio che, con delibera numero 147, ha preso una decisione rassegnata, quasi disperata.
Si dà il permesso a chiunque non ce la faccia più a vivere in tendopoli o in albergo e disponga di un cortile o un giardino di farsi, a sue spese, una casetta di legno, di lamiera, di quel che può e di quel che vuole. Sulla terra davanti alla casa vera, o anche sull’asfalto, su una piazzola o su un marciapiede largo. Libertà di mettere quattro assi in croce, per dormirci o per riaprire una specie di negozio.
Decisione rassegnata perché in tenda non ce la fanno più, e non è colpa di nessuno. Decisione disperata perché alle 15mila case su molle anti sismiche pronte per novembre in pochi ci credono. Ci credono poco perché chi paga a chi e cosa paga non è chiaro: 150mila, 80mila euro o l’intera cifra per ricostruirsi casa? Il governo le ha dette tutte e tre. E soldi cash, oppure credito d’imposta, cioè il singolo spende oggi di tasca sua e poi lo Stato restituisce sotto forma di tasse scalate per i prossimi decenni?
In tenda si suda, si immalinconisce e ci si innervosisce. La cosa sembra non piacere, non solo al Tg. Arrivano racconti, dal campo base Italtel 1 ad esempio, di carabinieri che spiegano che ogni “assembramento” deve essere autorizzato e che assistono, controllano ogni pubblica discussione. Insomma i 3 milioni di euro al giorno che lo Stato spende per nutrire e alloggiare non spengono l’inquietudine.
Inquietudine perchè nessuno ha affrontato il problema del futuro del centro urbano de L’Aquila. Spopolato, inabitabile e senza reali piani di ricostruzione. Inquietudine che prende anche la forma di un assalto ai risarcimenti: centomila domande per 70mila residenti. Inquietudine che si avvia a prendere la forma di una semina informe di case da cortile, insomma: abiti chi può, come può, se può.
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