ROMA – In Svizzera gli elettori hanno detto no: no a limitare lo stipendio mensile di un manager d’azienda a 12 volte il salario annuale del lavoratore base. No, spiegano gli opinionisti il giorno dopo il referendum, perché il tetto avrebbe allontanato non solo gli investimenti stranieri ma anche le aziende locali, le piccole e medie imprese.
Avrebbe indebolito di conseguenza l’indotto, ovvero quella rete di imprese locali che forniscono materiali o servizi a quelle più grandi. E avrebbe anche dato un colpo alle Finanze dello Stato che avrebbe incassato un bel po’ di meno in fatto di tasse.
A leggerlo così, il “no” svizzero (“no” ripetuto per ben 26 volte, in tutti i cantoni) suona logico e lineare, soprattutto offre una lettura originale al tema “tetto agli stipendi dei manager” periodicamente e con successo cavalcato anche in Italia ma con tutt’altro tono e senso.
Se un referendum analogo fosse proposto in Italia? Lo scenario, lavorando di immaginazione, è che l’elettore italiano (con ragioni rispettabili e in parte anche condivisibili) farebbe la scelta opposta rispetto al vicino svizzero. In sostanza, immaginiamo un “sì” di massa. E altrettanto probabilmente un referendum del genere sarebbe cavalcato dal Movimento 5 Stelle che otterrebbe un “indotto” di preferenze e popolarità sconfinato.
Ma forse il referendum svizzero una morale può insegnarla anche a noi. Certo, le due situazioni non sono paragonabili, non si possono non considerare i casi nostrani di manager scelti dalla politica per un tessuto di grandi aziende in parte pubbliche con buchi di bilancio e fior di stipendi pagati (anche) dal contribuente. La lezione, la morale, riguarda più i metodi della politica e i rischi di un populismo alla grillina che in massa avrebbe sponsorizzato il “sì” senza che le ragioni svizzere (forse lontane dalla sensibilità italiana ma non irragionevoli, anzi) venissero minimamente considerate.
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